Il parroco di Capocastello conferma in un’intervista a Flavio Coppola pubblicata sul sito di Orticalab un pensiero originale e non si allinea pedissequamente alla durissima contestazione della Conferenza episcopale: «Il prete lo si può fare in tanti modi, la nostra funzione e la nostra missione non si esauriscono nella messa». Per il parroco, «non è il momento dello scontro»: «Nei secoli scorsi esercitavamo il culto nelle catacombe o con la peste, oggi c’è internet, dovremmo ringraziare Dio». Per la ripartenza, meglio aspettare: «Non possiamo mettere il buttafuori alla porta, facciamolo tra un mese ma in maniera dignitosa»
Don Vitaliano della Sala, come sa, l’inizio della fase due non coinciderà con la possibilità di tornare a celebrare le messe alla presenza dei fedeli. Per i tecnici, ci sono problemi ineludibili che determinerebbero assembramenti, e così la Cei ha risposto con una durissima presa di posizione contro il Governo. Qual è il suo pensiero?
«Sinceramente, io penso che questo non sia il momento di litigare. Una discussione più proficua sull’argomento ci poteva anche stare, ma lontano dal clamore. A me sembra che la Conferenza episcopale pensi quasi che, tolta la messa, che pure è la cosa intorno a cui ruota tutto, si fermi la vita di una parrocchia o di un prete. E invece non è assolutamente così. Non possiamo ridurre a questo il senso del nostro impegno e della nostra funzione. Il parroco lo si può fare in tanti modi. Nel corso della storia, la nostra bravura è stata quella di saper reinventare il modo di vivere la fede. In ogni momento. Quando c’erano le persecuzioni, ad esempio, ci siamo riuniti nelle catacombe. E certamente la libertà di culto era più complicato esercitarla rispetto ad oggi».
Anche in questo caso, lei ci consegna un punto di vista interessante, non allineato. Dunque, non condivide?
«Direi che quella posizione non mi è piaciuta, anche se la ovviamente la comprendo. Ma non sono io a dirlo. Basta guardare alla storia della chiesa. Noi ci siamo sempre adattati ai cambiamenti. La chiesa non è un monolite, al quale devono adeguarsi i fedeli, ma qualcosa in movimento a sua volta. Questo intervento così netto, quindi, non lo condivido. Questo è il momento in cui dobbiamo appoggiarci l’un l’altro e noi dobbiamo immaginare di fare il nostro dovere in tutti i modi possibili».
Come?
«I tentativi in corso sono già tanti, spesso sfociano nell’umorismo. Penso a questo modo di utilizzare lo streaming, i cellulari, i computer. Molti di noi non hanno dimestichezza e così è successo che c’è stato chi ha premuto per sbaglio il tasto per trasformarsi in coniglio o in superman. Ma io apprezzo di più chi ha provato ad adattarsi, quei preti che non si sono fermati, piuttosto che il rinchiudersi nella messa tradizionale. Ho visto confratelli che fanno la catechesi in streaming. L’oratorio di Capocastello ha organizzato un quiz venerdì e sabato via Pc, e questo sabato, nello stesso modo, organizzeremo una caccia al tesoro. Senza uscire di casa. Abbiamo l’intelligenza e la fantasia, e questa è una bella sfida per tutti. Inventiamoci il modo di essere chiesa anche in questo tempo drammatico segnato dal Coronavirus. Rispetto alla peste del ‘300 o alle persecuzioni, oggi abbiamo tanti strumenti in più. E ringraziamo Dio per il fatto che ci siano».
In effetti, in questa fase, immaginare di poter riunire i fedeli al chiuso di una chiesa non sembra facile. Avete immaginato, comunque, soluzioni possibili per farlo?
«A dire la verità, io la vedo molto difficile. Come si farebbe? Ci fermiamo a quindici fedeli e non facciamo entrare il sedicesimo? Mettiamo un buttafuori all’ingresso? Io credo che sarà complicato, e preferisco aspettare un mese in più per riaprire le chiese in modo dignitoso. Non con il bilancino e con il metro un mano. Meglio avere ancora un po’ di pazienza. La fede ce la portiamo dentro, ed anche se è vero che dobbiamo ritrovarci insieme, io ho visto il papa da solo in Piazza San Pietro e il presidente della Repubblica omaggiare da solo il milite ignoto. So bene che non è l’ideale, ma è il modo giusto per dire che non ci arrendiamo».
Si ripartirà, almeno, con la possibilità di celebrare i riti funebri. Per molti sarà di conforto. Vede rischi in questo?
«Questo è certamente un fatto positivo. Per noi preti, è stato angosciante fare benedizioni rapide, a volta senza nemmeno un familiare. Un minimo di contatto, anche se non fisico, è il modo più saggio per colmare una lacuna e rispondere a un’esigenza di fede e di umanità. Mi sembra un giusto compromesso».
A cura di Flavio Coppola