Cultura

«Ferro»: il documentario di Tiziano Ferro è un commovente inno alla rinascita

Quando si realizza un documentario sulla vita di una persona è molto facile che si faccia il santino, come direbbe Franca Leosini. Fare il santino vuol dire selezionare le cose dritte e nascondere quelle storte, nella speranza che l’opera risulti quanto più vicina possibile all’idea alla quale il protagonista ha sempre sperato di assomigliare, senza correre il rischio di deludere nessuno. Sono pochi i divi ad aver trasgredito quelle regole e ad aver avuto il coraggio di dire la verità, e Tiziano Ferro è uno di questi.

In Ferroil documentario diretto da Beppe Tufarulo e disponibile su Amazon Prime Video il 6 novembre, il cantante non si affida a nessuna sovrastruttura. Anzi, la demolisce pezzo dopo pezzo. Certo, ci sono i fan che affollano San Siro e ci sono gli attestati di stima da parte degli amici e dei colleghi, ma il cuore pulsante di Ferro è un altro: la voglia di mostrare le luci e le ombre, quello che pensavamo di sapere e quello che forse abbiamo finta di non vedere.

Attraverso la narrazione, che dura poco meno di un’ora e mezza, Tiziano ci mostra le ferite che gli hanno bruciato di più e le soluzioni che aveva deciso di adottare per abbatterle, prima fra tutte l’alcol, che gli permetteva di anestetizzare l’ansia e l’insicurezza e di tirare fuori la sua faccia migliore, fosse sul palco o in una festa tra amici. Ferro non ha mai bevuto durante l’adolescenza: ha iniziato a farlo per caso, spinto dalla band del suo tour, con un pizzico di incoscienza e, forse, anche con la curiosità di capire se l’etilismo lo avrebbe fatto sentire più giusto. Così non è stato. Ferro ha iniziato a sentirsi giusto quando ha cominciato a riconciliarsi con quello che lo ha sempre fatto soffrire, dai chili di troppo che la casa discografica gli aveva obbligato a smaltire all’omosessualità che sempre i discografici si impegnavano a mascherare assoldando stylist pagati apposta per far apparire Tiziano «più maschile». Attraverso la passione per il suo lavoro e l’amore che non gli è mai mancato, Ferro è riuscito a liberarsi di tutto questo e a trovare il coraggio e la lucidità per mostrarlo a tutti coloro che lo hanno sostenuto.

Insieme alle ombre, infatti, il documentario di Prime Video, scritto da Federico Giunta insieme al regista, racconta anche la rinascita di un uomo che frequenta ancora regolarmente gli incontri degli alcolisti anonimi e che, attraverso una doppia cerimonia, negli Stati Uniti e in Italia, ha detto sì a Victor, l’uomo della sua vita. Assistere alla lettura delle loro promesse, alle lacrime che scendono sulle guance e al sorriso che non proprio riesce a spegnersi è una delle scene più toccanti di tutto Ferro, insieme ai non detti e ai non visti che restituiscono (davvero) umanità e verità. A un certo punto, infatti, assistiamo allo sfogo doloroso di Tiziano che, nel camerino di Sanremo, si maledice per aver troncato l’esibizione di Almeno tu nell’universo che aveva eseguito sul palco dell’Ariston pochi istanti prima. L’entourage prova a consolarlo dicendogli che i commenti sui social sono tutti positivissimi, ma lui continua a tormentarsi perché quella canzone l’ha provata centinaia di volte e sbagliarla in diretta è qualcosa che non doveva succedere. La scena, che ha la stessa tenerezza del litigi di Valentino Garavani e di Giancarlo Giammetti in un altro documentario bellissimo, Valentino: The Last Emperor di Matt Tyrnauer, ci dice di Tiziano Ferro molto più di qualsiasi elegia retorica e sdolcinata: la voglia di fare bene, la paura, sempre quella, di deludere gli altri e, soprattutto, sé stesso. Nessun santino, quindi. Solo tanta verità.

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