Dopo solo 40 anni di chiusura riapre la chiesa di San Potito, una delle più importanti per storia ed opere d’arte conservate e viene così restituita alla fruizione dei napoletani e dei turisti. Sono pietre che ci parlano, urlano, raccontano.
L’edificio si trova sulla sommità di una collina dove un tempo c’erano le fosse del Grano, in via Salvatore Tommasi, a ridosso di via Salvator Rosa. La chiesa, costruita nel Seicento, era parte di un complesso monastico, abitato dalle suore basiliane, poi benedettine, che durante il decennio francese furono cacciate, mentre il monastero fu trasformato in caserma.
Il culto di San Potito, largamente diffuso nell’Italia centro meridionale, viene introdotto a Napoli nel IV secolo D. C. , con la fondazione, ad opera di Severo, vescovo napoletano, di una chiesa ed un cenobio di monache basiliane dedicate a questo santo, presso il largo Avellino all’Anticaglia. In seguito il cenobio si trasformò, con l’autorizzazione di Paolo V, in un monastero benedettino.
L’attuale chiesa di San Potito fu fondata dopo il 1615 quando, ceduto l’antico monastero al principe di Avellino, che l’utilizzerà per ampliare il suo palazzo, col ricavato della vendita le monache, trasferendosi sulla collina della Costigliola, fanno costruire un nuovo convento e la chiesa annessa. Il progetto venne affidato a Pietro de Marino, contemporaneo di Cosimo Fanzago. L’impianto assai semplice, ma funzionale, ad unica navata, con tre cappelle per lato, presenta a livello superiore un corridoio laterale alla navata, per permettere alle monache di assistere alle funzioni religiose o di accedere al coro, ricavato nella zona superiore del pronao, direttamente dagli ambienti conventuali.
Per la facciata viene adottata la soluzione di un portico con scale di accesso balaustrate per collegare i differenti livelli del cortile e della chiesa. All’ipogeo destinato alla sepoltura delle monache si accedeva dal cortile attraverso un’apertura posta sotto le scale ed ora murata.
Attraverso una scalinata si accede alla chiesa che ha una facciata geometrica e segue due ordini. Dal primo si arriva ad un atrio molto profondo e sul quale poggia il coro delle monache, mentre al secondo ordine, una doppia coppia di paraste inquadra perfettamente tre finestre. L’interno della chiesa è a navata unica con tre cappelle per lato.
Attraverso un cancello si accede da questo lato ad un cortile che precede con un scalinata all’ingresso in chiesa. Quindi è da questo cortile che la chiesa prospetta la sua facciata originaria, che resta severa in pietra e mattoni. La sua impostazione geometrica, ancora fortemente improntata alla scuola del manierismo, di cui ne fu un seguace anche il De Marino, la separa in due ordini: il primo conduce ad un atrio molto profondo e sul quale poggia il coro delle monache, mentre al secondo ordine, una doppia coppia di paraste inquadra perfettamente tre finestre. L’interno della chiesa è a navata unica con tre cappelle per lato e ad esser percepito subito è il tracciato tardo settecentesco del Broggia, specie per il primo ordine alle pareti, assai classicheggiante e negli ornati in stucco e dipinti. Troneggiano statue e putti di pregevole fattura. Ma il vero capolavoro della chiesa è la zona absidale occupata da uno splendido altare del Settecento ed alle pareti tre quadri. Al centro: San Potito mentre trafitto dal chiodo infuocato, fa provare lo stesso dolore all’imperatore Antonino, opera datata 1654 e firmata Nicolò De Simone. A destra: San Potito che abbatte un idolo , e a sinistra San Potito che salva Agnese, la figlia ossessa di Antonino, entrambe di Giacinto Diano, la seconda datata 1784.
Alle cappelle laterali si segnalano altre opere di qualità: la prima cappella a destra una bellissima Madonna del Rosario dipinta tra il 1663 ed il 1665 da Luca Giordano e nella terza cappella sempre di destra un’Immacolata di Giacinto Diano, datata 1791. Mentre a sinistra nella prima cappella si conserva un Calvario, autore ignoto del Seicento; nella cappella appresso, una stupenda decorazione in stucco ritrae San Gaetano da Thiene, ed alle pareti della medesima cappella un gruppo di Angiolettisono databili presumibilmente intorno al 1880, allorquando anche questo spazio fu nuovamente ristrutturato come si evince anche dalla data incisa sul pavimento. Si ipotizza che lo stuccatore che abbia realizzato questo ambiente possa esser stato un certo D. Caponello, nome inscritto sul Libro della Regola, tenuto in mano da un angelo nel riquadro di sinistra. Nella terza cappella sempre di sinistra un quadro di Andrea Vaccaro, collocabile cronologicamente al 1668, ritrae La Vergine tra i Santi Antonio e Rocco. In sacrestia si conservano i quadri di Pacecco De Rosa ed un altro è attribuito a Domenico Mondo. Per il primo il dipinto ritrae, La Vergine della Purità alla quale i Santi Antonio e Giuseppe presentano quattro confratelli , nella parte bassa del dipinto si vedono Anime del Purgatorio. Di Domenico Mondo, invece, La Vergine e Santi con Sacramenti ed ancora Anime del Purgatorio.