Tra i versamenti che sono stati prorogati in questi ultimi mesi a causa del Covid e gli adempimenti ordinari previsti dal calendario, da mercoledì prossimo fino a fine mese gli italiani dovranno districarsi in una giungla fiscale costituita da 270 scadenze. Sia chiaro, rileva la Cgia, non è che i contribuenti dovranno onorarle tutte, ma tra pagamenti, comunicazioni, adempimenti, ravvedimenti operosi, dichiarazioni e istanze da presentare all’erario, “saremo costretti a trascorrere giornate molto stressanti”. A chiedere il conto ci penseranno, in particolar modo, l’Iva, i contributi previdenziali, l’Ires, l’Irap e il saldo/acconto Irpef (queste ultime per coloro i quali hanno optato per la rateizzazione), etc.
La giornata più difficile sarà il 16 settembre quando il fisco chiederà 187 versamenti e la presentazione di 2 comunicazioni e di 3 adempimenti. Tra i 187 versamenti da fare entro il 16 settembre, 13 sono quelli che sono stati sospesi in questi ultimi mesi per la crisi provocata dal Covid. Con il decreto di agosto (in fase di conversione di legge) è prevista una ulteriore parziale proroga per 13 scadenze secondo le seguenti modalità: il 50% del dovuto si può versare in un’unica soluzione entro il 16 settembre o in 4 rate mensili di pari importo (di cui la prima il 16/9); il restante 50% si può rateizzare al massimo in 24 rate mensili di pari importo, con il versamento della prima rata dal 16 gennaio 2021. Negli ultimi 40 anni la pressione fiscale è salita di 11 punti percentuali, calcola l’Ufficio studi della Cgia: nel 1980 era al 31,4%, nel 2019 è arrivata al 42,4%. La punta massima è stata raggiunta nel 2013, quando il prelievo ha raggiunto il 43,4% a seguito dell’inasprimento della tassazione imposto dal governo Monti che ha reintrodotto la tassa sulla prima casa, ha aumentato i contributi Inps sui lavoratori autonomi, ha inasprito il prelievo fiscale sugli immobili strumentali, ha ritoccato all’insù il bollo auto. Per il 2020, è difficile prevedere a quanto ammonterà la pressione fiscale. Probabilmente è destinata a salire, “non tanto a causa di un incremento delle entrate tributarie, ma per la forte contrazione del Pil che, rispetto al 2019, dovrebbe ridursi del 10%”. A chiarire l’interrogativo ci penserà la Nota di aggiornamento del Def che sarà presentata alle Camere nelle prossime settimane.