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Fuoco sotto la cenere: le classi popolari hanno alzato la testa?

di Domenico Pizzuti

 

Il 25 luglio grandi striscioni e murales nella piazza Giovanni Paolo II di Scampia per scolpire “Ciro Esposito vive”, “Ciro Esposito eroe”; a distanza di pochi giorni dalla tragica fine di Davide Bifolco al Rione Traiano sono in corso lavori per una cappella votiva non autorizzata in sua memoria con uno striscione che recita “Davide resterai sempre nei nostri cuori”. Culto della memoria di caduti in scontri di violenza, eroi popolari che fa pensare ad una sorta di santificazione a furor di popolo. Di fronte a questi episodi, che non riguardano tanto o solo l’erezione non autorizzata di un cippo o cappella votiva, alle imponenti mobilitazioni popolari che le hanno accompagnate, quale fuoco cova sotto la cenere? Non è in questione solo il dolore di mamma esibito e drammatizzato dagli stessi mass media, ma più ampiamente una ferita nella carne avvertita da determinati strati popolari per la morte violenta di parenti e compagni, espressione di solidarietà di sangue, di appartenenze gruppali e sociali, di stili di vita giovanili in circoli sportivi o ricreativi o nelle corse notturne per i viali del Rione Traiano e così via.

Le imponenti mobilitazioni popolari che hanno accompagnato il funerale di Ciro Esposito a Scampia e quelle per Davide Bifolco, non sono solo quelli usuali di gruppi di parenti ed amici ad un funerale: ripetuti cortei di giovani con l’icona di Davide Bifolco dal Rione Traiano hanno raggiunto il cuore della città, Mergellina e Corso Vittorio Emanuele davanti alle Caserme del  carabiniere incriminato per il colpo mortale. In queste occasioni, con empatia ma anche sforzo analitico, ci siamo posti la domanda: Strati popolari più o meno emarginati hanno forse alzato la testa?, oppure, Quale fuoco cova sotto la cenere?”. Senza pretendere di dare risposte esaurienti, ad un primo livello si può dire che famiglie, gruppi e strati popolari dai caseggiati popolari di Scampia o Rione Traiano, conquistano visibilità, hanno voce, anche per la focalizzazione dei media su queste tragiche vicende.

Richiamano l’attenzione in questi territori sull’abbandono da parte delle istituzioni pubbliche, sulla mancanza di opportunità legittime e di punti di riferimento per le giovani generazioni, sul controllo del territorio da parte di gruppi della criminalità organizzata. Ma anche sulla mancanza di rappresentanza di strati popolari, o di azione collettiva per obiettivi di vivibilità collettiva. Insieme alla legittima richiesta di giustizia nei due casi, queste mobilitazioni popolari e giovanili che sembrano prevalentemente espressive, nel contempo sono protestarie, hanno venature di antagonismo sociale che si possono coagulare se non si offrono opportunità legittime e punti di riferimenti alle giovani generazioni dalle amministrazioni cittadine e componenti della società civile senza aspettare provvedimenti dal fiorentino di Palazzo Chigi.

A nostro avviso, oltre al disagio sociale di famiglie e strati popolari, non si possono ignorare soggetti o organizzazioni alla spalle di queste mobilitazioni secondo i diversi casi da accertare senza infondati allarmismi sociali, i  gruppi criminali per conservare il controllo del territorio, nell’ambito sportivo i gruppi di ultras con i loro circoli ed aggregazioni su cui si invoca talvolta con troppa facilità comprensione se non libertà di azione. In questa occasione, non possiamo non ricordare che nel Rione Traiano in un clima post sessantottino, negli settanta si dispiegò l’attenzione e l’intervento di Comitati di inquilini e di gruppi di volontariato di diversa ispirazione, ricordati da Giuseppe Galasso nell’Intervista sulla storia di Napoli, Laterza, Bari 1978, per una riqualificazione territoriale. Poi è calato il silenzio se non per caduti per lotte di camorra o blitz della polizia in riferimento ad un diffuso traffico della droga, fino alla delegittimazione attuale delle forze dell’ordine.

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