La comunità di Benevento è sotto shock. Sono scattate le manette per il prefetto Ennio Blasco e per tre imprenditori, tra cui i fratelli Carmine e Carlo Buglione, entrambi di Nola. Secondo l’accusa, Blasco avrebbe favorito i fratelli Buglione in cambio di gioielli, viaggi e altre utilità. Per favorire le imprese di vigilanza privata dei fratelli Buglione, il prefetto Ennio Blasco, avrebbe accettato gioielli, viaggi, un’auto con autista per i suoi spostamenti e finanche il pagamento di spese di lavanderia. Ciò è quanto emerge dalla indagini del Nucleo di Polizia giudiziaria della Guardia di Finanza di Napoli, che stamane ha dunque eseguito l’ordinanza di arresti domiciliari emessa dalla Procura di Avellino nei confronti di Blasco. Il nome dei fratelli Buglione non è nuovo ad inchieste del genere. Uno dei tre, Antonio, fu rapito nel 2010 da una banda di sardi e poi liberato.
Le indagini della Guardia di Finanza partirono proprio per verificare il pagamento o meno di un riscatto.
Questo il quadro accusatorio, questo il quadro delle indagini.
Ciò che stupisce di più e che lascia sgomenti è certamente la presenza di un “esponente e rappresentante” delle istituzioni. Una persona che dovrebbe difendere l’istituzione della res publica, tutelarne l’integrità morale, difenderne i principi di uguaglianza, esaltare i valori di legalità e moralità. Sia chiaro, siamo garantisti a tutti gli effetti. In Italia, fino al terzo grado di giudizio, l’imputato può dimostrare la propria innocenza. Una domanda però sorge spontanea: E’ possibile che nessuno ai “piani alti” sapeva?
Se i fratelli Buglione erano “monitorati” ormai da tempo, era forse necessario fermarlo prima? Ammesso e non concesso che il prefetto sia davvero colpevole. I fratelli Buglione hanno costruito con il tempo il loro potere economico e politico, giorno dopo giorno, con la giusta rete di contatti e favori. Nel 1996, il nome di Antonio Buglione spunta in una inchiesta che vide coinvolti, tra gli altri, anche l’ex parlamentare democristiano Carmine Mensorio, poi suicidatosi, e l’ex prefetto di Napoli, Umberto Improta. Buglione, illo tempore, fu accusato di 416 bis e di tentativo di estorsione, ma successivamente fu assolto.
Giustizia ad orologeria? Niente affatto.
L’intreccio tra politica e affari ha segnato l’ascesa economica della famiglia capace di creare negli anni un vero e proprio monopolio nel campo della sicurezza privata macinando appalti su appalti. Regione Campania, Asl, banche e centri commerciali. Dalla Prima alla seconda Repubblica, Tangentopoli travolge l’intero sistema politico ma non il potere dei fratelli Buglione. Nel 2006, l’appoggio della macchina di voti sfronati dalle vigilanze private, a Roberto Conte, eletto consigliere regionale della Margherita, consente ai Buglione di mettere piede in Regione Campania. Roberto Conte che ritroviamo alle elezioni poltiche del 2010, quando viene eletto, tra le fila di una lista civica collegata alla coalizione di centro – destra, nuovamente in seno al consiglio regionale e grazie all’appoggio, ancora una volta, della famiglia di Nola. Pura casualità? Non si direbbe. Di certo, la famiglia Buglione è avvezza a certi tipi di meccanismi e dinamiche. Tutti si augurano che da questo calderone possa almeno il prefetto Blasco uscirne. Lo deve a sé stesso innanzitutto, ma lo deve soprattutto a tutte quelle persone che credono nei valori citati poco fa. E se per caso dovesse risultare davvero colpevole, pazienza, ce ne faremo una ragione, ancora una volta. Di certo noi non avremo fallito in prima persona ma inconsciamente avremo contribuito, ancora una volta, alla vittoria di questo circolo vizioso.