Attore e regista firma docufilm “Il terremoto di Vanja, alla ricerca di Cechov”, su Nexo+.
Un teatro chiuso. Una famiglia di teatranti in attesa.
Fuori solo macerie. In un gioco di specchi e scatole cinesi, potrebbe essere un’immagine di oggi, al tempo del Covid. Invece a parlare è Cechov. Riletto da Vinicio Marchioni nel suo primo docufilm da regista, “Il terremoto di Vanja, alla ricerca di Cechov”, al debutto su Nexo+ proprio oggi 27 marzo, Giornata mondiale del teatro. La seconda che in Italia ci ritroviamo a celebrare a sipari chiusi e platee vuote. Quando invece doveva essere anche la giornata dell’attesa riapertura delle sale, almeno in zona gialla.
“E la cosa ancora peggiore – dice all’ANSA Marchioni – è che per il teatro non c’è neanche un piano, un programma”. Insieme a Sonia Bergamasco ha appena terminato le prove di “Chi ha paura di Virginia Woolf” per la regia di Antonio Latella: debutto previsto il 21 marzo a Spoleto, per arrivare ad aprile al Piccolo di Milano. “Ma è tutto fermo, sospeso, in attesa”.
Proprio come per i protagonisti dello spettacolo tratto da Zio Vanja che ha portato in scena nel 2018 e di cui racconta ora la genesi nel docufilm prodotto da Except, con la partecipazione di Anton e la collaborazione di Rai Cinema e Simone Isola, con il sostegno del Mibact.
Un adattamento, firmato per la scena insieme a Milena Mancini e Letizia Russo, che trasporta la vicenda dalla campagna russa dell’800 colpita da tifo e carestia alla provincia italiana (e dentro un teatro italiano) spezzata dal terremoto. Con due anni di riprese tra Onna, Poggio Picenze, L’Aquila, nelle Marche più la Russia innevata dei luoghi di Cechov, Marchioni ne svela prove e tournée fino alla replica a L’Aquila, in un omaggio al “fare” teatro, al processo di creazione, ma anche con un faro sullo schiaccinate immobilismo italiano del post-terremoto (nel docufilm, anche Francesco Montanari e gli attori della Compagnia più Andrej Konč̌alovskij, Gabriele Salvatores, Fausto Malcovati e Toni Servillo a dar voce a Cechov).
“L’idea dello spettacolo è nata quando con Milena andammo a trovare alcuni amici colpiti dal terremoto a San Genesio. Quelle persone parlavano come i personaggi della piece: non avevano più passato, ne’ illusioni o speranze per il futuro. Guardavo il capofamiglia, il senso di abbandono dipinto sul suo volto, e pensavo: lui è zio Vanja. Erano gli anni in cui i teatri chiudevano, i cinema diventavano supermercati o sale Bingo. La crisi della cultura mi rimandava al mondo di Cechov, che ha il grandissimo dono di raccontare gli esseri umani per quel che sono”. Tifo, terremoto, Covid-19, lo smarrimento resta lo stesso. “Il teatro e lo spettacolo da vivo – prosegue il regista – sono i più colpiti dalla crisi in Italia. Altri settori, un po’ hanno lavorato, un po’ sono stati sostenuti. Di noi neanche si parla, ma le famiglie degli attori hanno superato la soglia dell’emergenza”. Evidentemente, riflette, “in Italia la cultura è in fondo alla classifica delle priorità, nonostante sia il Paese con il patrimonio artistico più ricco al mondo. E poi si pensa che il teatro non smuova economia. Non c’è niente di più sbagliato. Per la tournée de I soliti ignoti, che è stata interrotta dal lockdown, avevamo 50 date: davamo da mangiare a 10-15 famiglie, senza parlare di tecnici, service, scenografie e costumi. Capisco che un concerto di Vasco Rossi con 250 mila spettatori oggi crei problemi. Ma un teatro da 1000 posti, ridotti a 250, con tutti gli spettatori controllati, no. Non avere un progetto, un piano, a questo punto mi sembra vergognoso”. Quanto al futuro, rilancia, “dobbiamo renderci conto che siamo indietro di 40 anni rispetto all’Europa e al mondo. Dal primo lockdown stiamo ancora dibattendo sullo streaming teatrale, quando in Inghilterra è risolto da almeno cinque anni. Il National Theatre ha una sua app con cui vedere, a pagamento, gli spettacoli di repertorio, mentre in sala si continua a produrre. E non è che il pubblico vada meno in sala, anzi. In Italia siamo così indietro che se chiedi di riprendere uno spettacolo ti pongono mille ostacoli. Lo dobbiamo capire, anche perché, dopo l’ultimo anno e mezzo, se non ci aggiorniamo, non so come potremo convincere le nuove generazioni che il teatro è un luogo meraviglioso da frequentare”.
ANSA