Ieri, giovedì 31 marzo, presso la sede del Consiglio regionale della Campania, si è tenuta un’assemblea pubblica nell’ambito della campagna referendaria promossa dai Giovani Democratici.
Sono stati proprio i Giovani Democratici, infatti, nelle persone di Francesca Scarpato, responsabile ambiente GD Napoli, e Francesco Forte, segretario GD Centro Storico, a moderare la discussione/conversazione sul referendum e ad introdurre i relatori, i consiglieri Vincenza Amato (PD), Gianluca Daniele (PD), Francesco Emilio Borrelli (Presidente Gruppo Campania Libera-Psi-Davvero Verdi) e Antonella Ciaramella (PD), gettando al contempo i semi della riflessione di questo pomeriggio all’insegna del confronto sul quesito referendario. Riflessione che nasce da dubbi e opinioni maturati già da prima di arrivare a questo punto, e che va fatta anche al di là della sede di un Consiglio regionale.
L’intervento di apertura ci ricorda che il referendum del 17 aprile riguarda una questione che è innanzitutto (ma non solo) ambientale, e che tocca da vicino la flora e la fauna marina, e che sono in ballo però anche dei posti di lavoro su cui vale la pena di soffermarsi un attimo a pensare per procedere con cautela; ci ricorda che la vittoria del Sì potrebbe funzionare da incentivo alle sempre poco sfruttate energie rinnovabili, ma che i fautori del No insistono che quelle di cui stiamo parlando sono pur sempre trivelle già esistenti e in funzione.
«Io penso che il partito debba aiutare anche il processo informativo, su una tematica così tecnica, così ostica. Un comune cittadino che legge il quesito referendario ha effettivamente difficoltà a capire cosa deve andare a votare se non si capisce bene cosa si stia leggendo». È Enza Amato ad aprire le danze con il suo intervento: «Questo referendum del 17 ci permette di fare una riflessione al di là di quello che andiamo a votare. È innanzitutto fondamentale che il Consiglio regionale della Campania abbia promosso il referendum. Sicuramente è importantissimo partecipare al voto, perché non recarsi alle urne il 17 significa negare così il criterio di partecipazione democratica, indipendentemente poi che uno scelga SÌ o NO. Il Partito Democratico deve dire – e questa è la mia opinione – ai suoi elettori di andare a votare».
«Se è vero che rispetto a degli standard che ci ha dato la Commissione europea l’Italia sta facendo più o meno il suo dovere, dobbiamo però considerare anche il fatto che solo il 17% della nostra energia viene dalle rinnovabili, e togliere le piattaforme, che rappresentano comunque un elemento di approvvigionamento energetico, significa considerare che si va incontro a difficoltà».
La risposta per Amato – che comunque ha esordito ricordando che voterà SÌ – sta dunque nell’investimento, in un investimento sempre maggiore nelle energie pulite su cui il nostro Paese deve continuare a scommettere sempre più.
«C’è un problema occupazionale, anche se non sembra ancora chiaro in quanti, effettivamente, rischierebbero il posto di lavoro, e c’è un problema di approvvigionamento, se neppure con le estrazioni riusciamo a soddisfare tutto il fabbisogno energetico nazionale» sono i dubbi che solleva Amato, secondo la quale «come partito politico dobbiamo fare di più perché le energie sostenibili rappresentino la scelta per l’Italia».
«Prima ancora di entrare nel merito della questione», esordisce Gianluca Daniele, che in chiusura del suo discorso annuncia poi che voterà SÌ, per difendere il turismo, il mare e l’ambiente, bisogna ricordare che «il referendum è uno strumento di democrazia diretta. Ci sono Paesi che se ne servono da tanti anni, e che su questo strumento fondano anche delle scelte importanti. Su questo va fatta una riflessione, che il governo sta appunto facendo da molti anni a questa parte, su come rivitalizzare questo strumento e ridargli una funzione più moderna. Lo dico anche perché il referendum spesso affronta dei quesiti che chi entra in cabina elettorale rischia di non capire, perché il quesito di per sé è incomprensibile per il cittadino comune.
La vera questione è però prima di tutto politica. Ritengo che la scelta fatta dal mio partito sia una assurda. Trovo incomprensibile che mentre un referendum viene promosso da nove regioni, di cui otto sono governate dal PD, c’è una buona parte del gruppo dirigente dello stesso partito che, per farci sapere che ha deciso di astenersi, non trova nulla di meglio di farlo attraverso un membro della commissione di vigilanza che ha dichiarato che la posizione del PD è quella dell’astensionismo».
«Penso che sia stato un vulnus che ci porteremo dietro. Sarebbe stato molto meglio spiegare le ragioni del NO, se si era per il NO. La cosa grave, secondo me, è che è stata fatta una scelta agnostica. Non si ha il coraggio di dire che non si è d’accordo, ma si gioca col fatto che in questo Paese molta gente non va votare, neanche alle elezioni politiche».
«Un partito di governo, che tra l’altro ha otto governatori su nove a sostenere il referendum, non può fare una scelta che consiste nel non decidere e non dare un’indicazione chiara di voto. E la questione è diventata politica proprio nel momento in cui è stata fatta questa scelta. Perciò la prima cosa da fare è sensibilizzare le persone per farle andare a votare, fargli capire che il 17 aprile è in ballo qualcosa che ci riguarda», cioè, in sostanza, ritornare al nocciolo della questione, alle trivelle e ai nostri mari. E quando sta per concludere, sottolinea che «si poteva votare tranquillamente insieme alle amministrative. Il 5 giugno si vota alle amministrative a costo zero», e lo stesso non si può dire, purtroppo, del referendum, dato che la scelta di anticipare il voto ha comportato un aumento non indifferente dei costi.