Già il titolo dice almeno due cose dell’ultimo film di Ferzan Ozpetec, Napoli Velata: la città partenopea è non solo sfondo ma anche miniera di spunti di drammaturgia per trattare del senso della realtà, fra fatti, condizioni e responsabilità velate e disvelate, acclarate, provate. Ci dibattiamo stanchi e carichi di incertezze, disillusi, fra qualcosa di assoluto da svelare e una realtà fittizia costruita dai fantasmi delle nostre menti. Due attanti messi a fuoco nel film sono una maschera e un occhio che, donato per amore, dovrebbe dare coraggio allo sguardo.
Fin dall’inizio l’A. chiarisce la sua postura: il barocco napoletano (o meglio quel che resta di tale cultura, estetica) è l’habitat preferito. Un’altra scelta altrattanto chiara, e per Napoli abbastanza scontata, è l’assunzione del doppio, del duale come chiave che articola e imprigiona i destini sociali e le trappole mentali delle persone. Da Vincenzo Cuoco a Roberto Saviano si tratta di una chiave tanto fortunata e spesso con molti possibili riscontri empirici quanto molto esposta a rischi di incloncludenza nel desumere qualche promettente prospettiva per il futuro: d’altra parte la protagonista per lavoro seziona cadaveri !
E qui emerge un altro tema tipico della poetica dell’A. : l’elaborazione del lutto. Molti fanno i conti con i morsi dell’animo che un lutto particolare ha lasciato e ci si può trovare a costruire una prigione da cui può diventare sempre più difficile salvarsi. Anche la storia dell’intera città potrebbe essere letta come una storia collettiva in cui non si è stati capaci di elaborare il lutto del non essere più capitale lasciando uteri velati, vivendo il portato di una sterilità collettiva. In tutto il film solo un maschio, pur giovane vedovo, non soccombe e trova il senso di crescere il proprio bambino. Per il resto solo adulti agiati quanto infelici, che anche dell’esperienza di fede conservano solo preziose cappelle sconsacrate.
Napoli è presente in molti modi. Quelli ambientali sono i più evidenti, anche perché gridati nel film. Si tratta forse di urla a tratti esagerate (con una forzatura stilistica che forse emerge anche nelle scene di sesso) quasi da video del Turing Club che non vede mai il retro delle facciate auliche, a parte qualche interno borghese e qualche brandello di vicolo ove è costretto a vivere un poliziotto evidentemente non tanto ben pagato.
Personaggio rilevante del film è la Napoli della borghesia parassitaria o delle professioni collusa con quella dedita a traffici, tesa sempre e solo a depredare e consumare le risorse del territorio per un benessere privato quanto decadente, nelle residenze lussuose qunto negli ex-conventi abbandonati e usati come centri sociali occupati dove però non sembra si produca nulla di fertile e nuovo.
Il personaggio principale maschile è un sub, anch’egli portatore di un lutto in quanto adottato all’età di sei anni, che si rivale facendo un po’ lo sciupafemmine, capace di scovare gli antichi tesori dal profondo dei giacimenti marini di un golfo vulcanico. Ma fa traffici con clan di malaffare certamente connessi con quella che sembrerebbe una buona borghesia di collezionisti di Chjaia, di cui l’A. presenta molte incarnazioni femminili e solo pochi maschi etero che finiscono ammazzati. Una borghesia che sembra (ma “non ci sono le prove”) infiltrata anche nelle istituzioni, nel caso ad esempio della collega della protagonista che …. ha fatto carriera truccando forse un referto medico su un bicchiere di limonata.
Le scelte di fondo dei tre sceneggiatori spiegano il fatto che molte rilevanti dimensioni della città non sono velate ma del tutto assenti, a partire dalla geografia implicita suggerita, tutta concentrata fra piazza del Gesù e piazza Amedeo, che è abbastanza legata a una visione datata della società locale. La stessa presenza dei femminielli, decisamente riproposta in un clichè folklorico, è più legata a la Pelle di Curzio Malaparte che non all’effettivo ruolo che oggi giocano queste persone in città.
Un film che per le molte risorse che ha mobilitato, materiali, riferimenti, articolazioni della trama, dubbi cosparsi qui e lì, vista la levatura del regista e degli attori, con un bravissimo Peppe Barra, poteva dare di più.