Sono il luogo della socialità virtuale, delle relazioni vissute attraverso uno schermo; scatenano reazioni emotive forti, poco ragionate, senza freni inibitori e danno sfogo a sentimenti ancestrali che nella vita reale fanno più fatica a emergere. Sono il luogo delle prese di posizione esasperate, un-politically correct, riescono a far affiorare il lato più oscuro e più intollerante della società che dietro allo scudo messo a disposizione dalla tecnologia e da identità spesso false palesa tutta la sua portata. Sono anche il luogo del conformismo, dell’omologazione, della balcanizzazione delle idee perché più che nella quotidianità delle relazioni face to face, grazie agli algoritmi, ci si ritrova circondati e organizzati per comunità di simili, per condivisione di interessi. Più che nella vita reale, i social network sono il luogo delle minoranze silenziose, come confermato dal recente studio “I social media e la spirale del silenzio” del Pew Research Center.
Eppure in queste giornate della drammatica alluvione di Genova stanno avendo un ruolo cruciale nella gestione della macchina dei soccorsi e nell’organizzazione delle squadre dei cosiddetti angeli del fango. Giovani e giovanissimi, ma pure uomini e donne più avanti con l’età, italiani e immigrati, con e senza permesso di soggiorno; liguri, ma pure piemontesi e lombardi; gente semplice, studenti, ambulanti, operai in cassa integrazione o ai lavori socialmente utili; personaggi noti, ultras genoani, rugbisti e il difensore della Nazionale Luca Antonini. Gli angeli del fango hanno rispolverato le magliette dell’alluvione del 2011 con la scritta “Non c’è fango che tenga” e si sono armati di pale e stivali per ripulire la città. Si sono dati appuntamento su Facebook (sulla pagina Angeli col fango sulle magliette), usano Twitter e Whatsapp per comunicare, informare e coordinarsi. Il tutto in costante contatto con il Comune di Genova, i Municipi e la Protezione Civile. “Ricordiamo nuovamente che per questioni di sicurezza invitiamo a muoversi solo persone che si trovano in zona – si legge sulla pagina Facebook che prende il nome da quello dato dai genovesi ai ragazzi che si mobilitarono durante l’alluvione del ’70 e raccoglie oltre 33mila persone – In caso di pioggia rientrate immediatamente. Ricordiamo che l’allerta meteo è in corso fino alle 24 di lunedì. Uscite di casa rispettando le norme di sicurezza, rimanete aggiornati sulle condizioni meteorologiche e fate riferimento alle indicazioni dei volontari della Protezione civile e dei Municipi. Evitate assolutamente di recarvi in fondi e cantine e, in generale, sotto il livello della strada”.
Non è il primo caso, non sarà l’ultimo, di mobilitazione per una giusta causa partita e diffusasi sui social network. Dimostra che un utilizzo sano di questi strumenti per la socializzazione può creare un continuum tra comunità virtuali e reali che arricchisce e moltiplica le forze e i valori in campo. Il segreto sta nel considerarli, non già punti di approdo della propria socialità, ma mezzi per il suo sviluppo in quella quotidianità fatta di contatti in carne e ossa, di strette di mano e abbracci, di occhi che si fissano in altri occhi, che è molto più bella e sorprendente di ciò che racchiudono un pc o uno smartphone.