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Glossario sociologico: D COME DISAGIO.NEGAZIONE DELL’AGIO!

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Il disagio è spesso confuso con il concetto di devianza, infatti, nel senso comune vengono considerati come sinonimi, ignorando, invece, che i due termini, per quanto siano complementari, in realtà indicano due fenomeni sociali differenti. Si parla spesso di devianza come diretta conseguenza del disagio, ma la relazione causale non è così diretta e scontata. Benché il disagio può essere considerato come un elemento accellerativo della devianza- intesa genericamente come un insieme di comportamenti che violano le norme della comunità- in realtà quest’ultima non è sempre causata dal fatto che una persona si sente a “disagio”. Il disagio ha un significato a se, a prescindere dalla devianza: se il disagiato può essere un deviante, il deviante può non sentirsi, paradossalmente, un disagiato. Vediamo il perché, analizzando epistemologicamente la parola “disagio”.
Il termine disagio è composta dalla desinenza (dis) + (agio) e sta ad indicare letteralmente negazione dell’agio. In latino la parola deriva dal participio passato del verbo “adiacere” (adiecens) e sta ad indicare “giacere presso”. Quindi la parola disagio significa “non giacere presso”, l’impossibilità di essere vicino, la lontananza da qualcosa, la mancanza di qualcosa. Quindi per disagio, riferita al soggetto, si può intendere come il bisogno di colmare una mancanza, una distanza che può essere di tipo economico (se pensiamo ad esempio alla mancanza di lavoro), sociale (se pensiamo alla mancanza di rapporti sociali), psicologico (se ci si riferisce alla sfera identitaria e cognitiva). Una fonte del disagio di natura psicosociale può essere identificata, ad esempio, come la mancata corrispondenza tra il concetto di sé e le aspettative che si ha di se stesso in relazione alle aspettative degli altri. Come suggerisce Grosso (1990) il soggetto a rischio disagio è colui che non riesce a stabilire relazioni sociali soddisfacenti e coerenti con i suoi bisogni e le sue aspettative. Un visione sociologica più recente critica questo approccio di natura causa/effetto che intravede il disagio come una generica interruzione dei legami sociali, individuando nell’accumulo di più eventi traumatici, la causa in se del disagio.
Altra cosa, ancora, è il concetto di disabilità: anch’esso viene utilizzato come “negazione dell’abilità” (dis) + (abilità). Sarebbe curioso approfondire come la disabilità, genera disagio. Invero, ci si domanda: la negazione dell’abilità è una forma di disagio o una forma di devianza?
Al di là di questioni sociologiche rimaste in sospeso, sicuramente il disagio è frutto di un processo: se pensiamo al disagio giovanile, esso si riferisce ad una condizione generale delle giovani generazioni che vivono in contesti difficili e definiti, per questo, a “rischio”. Oppure altre volte, sta ad indicare lo stato confusionale e di vulnerabilità che impedisce agli adolescenti di assimilare valori e norme trasmesse dalle forme di socializzazione primaria, come la scuola o la famiglia. Ancora, il disagio giovanile può essere riferito alla condizione perdurante di precarietà e disoccupazione perché impedisce di soddisfare il bisogno di autorealizzazione, di costruire un vissuto coerente con il proprio se e la propria identità professionale. Più in generale, il disagio giovanile può indicare un complesso di difficoltà delle giovani generazioni di assolvere ai compiti evolutivi che vengono richiesti nel contesto di riferimento (oggi si parla di giovani senza tempo, intrappolati in un eterno presente) e, quindi, nell’incapacità di transitare alla vita adulta. Ancora, può essere ricondotto all’incapacità del soggetto di riconoscere altri significativi a cui fare riferimento per impedire che le difficoltà e le incertezze si trasformino in un vero e proprio malessere. In definitiva, si può dire che il disagio sociale è sicuramente un fenomeno multidimensionale, perché tocca vari aspetti di tipo economico, psico-sociale e cognitivo di un individuo, e della società in generale, e soltanto in alcuni casi esso può degenerare in forme di disadattamento, emarginazione, devianza e addirittura in forme di criminalità. Tuttavia, paradossalmente, se si può dire che la devianza è una conseguenza estrema del disagio, non è vero il suo contrario: colui che è deviante non è detto che si senta a disagio (Ranci,1993). Ad esempio, un omossessuale può essere considerato deviante rispetto a norme o valori condivisi dalla maggioranza, ma può non sentirsi a disagio: il disagio si genera quando non si riesce a porre in essere strategie di copyng (Spanò, 2000) coerenti con la propria identità e il proprio sé o quando la società non ha “anticorpi” per impedire forme di emarginazione sociale. Dunque, il termine va compreso in un’accezione più ampia e, di fatto, più complessa: dipende da quale punto di vista lo si osserva. In riferimento a giovani e adolescenti, per esempio, sarebbe necessario un approccio che non tenga conto dell’equazione deviante=disagiato, bensì che sia in grado di scorporare i due fenomeni, assumendo un punto di vista meno deterministico e più multidisciplinare.
Il prossimo termine che tratteremo è “devianza”.
Bibliografia
AA.VV., Il glossario del disagio, in Animazione sociale, Gennaio 1993.
Bagnasco A., Barbagli M., Cavalli A., (2012), Corso di Sociologia, Il Mulino
Gallino L. (1978) Dizionario di sociologia, UTET, Torino
Ranci C., (2002), “Fenomenologia della vulnerabilità sociale”, in Rassegna italiana di sociologia, n. 4.
Spanò A. (1999), La povertà nella società del rischio, Franco Angeli, Milano, cap. 1 e 4.

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