Economia e Welfare

Green pass per tutti a lavoro. Brunetta: “Riguarda 23 milioni di lavoratori”

Senza il Green pass dal 15 ottobre non si potrà entrare in nessun luogo di lavoro, pubblico o privato. Il premier Mario Draghi estende l’obbligo a oltre un terzo degli italiani.

Con una stretta accompagnata da controlli e sanzioni, ma solo allo scopo – spiega ai suoi ministri – di “continuare ad aprire il Paese” ed evitare nuove chiusure. Il via libera del governo è unanime, a dispetto dei malumori di Matteo Salvini e di una parte della Lega.

L’obiettivo è dare alla campagna vaccinale la spinta necessaria a raggiungere entro la metà di ottobre l’80% della popolazione. Ai lavoratori, ma anche ai sindaci, ai governatori, ai vertici istituzionali, viene dato un mese per adeguarsi, con la prima dose di vaccino. Poi dalla metà di ottobre per accedere ai luoghi di lavoro se non vaccinati o guariti dal Covid dovranno fare un tampone ogni 48 ore (72 ore se molecolare), altrimenti incorreranno nella sospensione dal lavoro o dallo stipendio e in multe fino a 1500 euro.

Il via libera al “super Green pass” arriva dopo una lunga discussione nella cabina di regia del governo, dopo un confronto con le Regioni e un’ora di esame delle norme in Consiglio dei ministri. Non passa la richiesta dei sindacati e della Lega di tamponi gratis per tutti i lavoratori non vaccinati, ma varranno solo per gli esonerati dal vaccino e le farmacie (con sanzioni per chi non si adegua) saranno obbligate ad applicare prezzi calmierati per tutti gli altri. Giancarlo Giorgetti porta il sì della Lega al nuovo decreto e ottiene il via libera a una norma – approvata in serata come emendamento in commissione alla Camera – per estendere la validità dei tamponi molecolari a 72 mesi.

Il ministro leghista in serata è assente alla conferenza stampa di presentazione del decreto, alla quale partecipano Brunetta e Gelmini per Fi, Speranza di Leu e Orlando del Pd, ma dal ministero spiegano che Giorgetti è assente per precedenti impegni, non per prendere distanze. La tensione in maggioranza però resta: Draghi punta tutto sul Green pass e per ora abbandona l’idea dell’obbligo vaccinale, che tra i partiti sarebbe ancor più divisivo. Alla misura esprimono sostegno convinto Enrico Letta, Matteo Renzi, i ministri di Forza Italia, un più cauto via libera Giuseppe Conte (“Una misura utile”, dice). Salvini invece sembra conservare i suoi dubbi. E Giorgia Meloni afferma che la scelta del governo non ha eguali nel mondo. La scelta, dunque. E’ quella di chiedere il Green pass a chiunque “entri da una porta per svolgere il suo lavoro” (la mette così Renato Brunetta). Dunque vale per dipendenti pubblici, autorità indipendenti, Bankitalia, per tutti i detentori di cariche elettive o istituzionali, per tutti i lavoratori privati, sia i dipendenti, che gli autonomi, dagli avvocati agli architetti, dagli idraulici, fino alle colf e le badanti. Ovunque si possa controllare, entra in vigore l’obbligo.

Dunque, spiega Brunetta, non sui mezzi di trasporto locale, ad esempio. Unico limite il governo lo incontra negli organi costituzionali, il Quirinale, le Camere e la Corte costituzionale, che hanno autodichia, cioè si autogovernano, e dunque vengono invitati ad adeguarsi (in una bozza compariva il termine del 15 ottobre, poi sparisce). In Parlamento si apre però il dibattito: la fronda leghista guidata da Claudio Borghi dice no. Quanto alle sanzioni, non si potrà arrivare al licenziamento del lavoratore. Lo stop allo stipendio varrà dopo cinque giorni di ingresso al lavoro senza Green pass, sia nel pubblico sia nel privato.

E poi per i mancati controlli dei datori di lavoro multe da 400 a 1000 euro, per le violazioni dei lavoratori da 600 a 1500 euro. La discussione tra i ministri si anima sul tema dello smart working: cosa fare per evitare che un No vax chieda di essere sempre esentato dal lavoro in presenza? Nel pubblico si tenderà a tornare in ufficio, spiega Brunetta, mentre Orlando osserva che nel privato le regole saranno riviste con accordi tra le parti. Qualche tensione poi si registra sulla richiesta del ministro Dario Franceschini di eliminare da subito i limiti di capienza per cinema e teatri, dal momento che si entra col Green pass. Il botta e risposta con il collega Roberto Speranza si ripete in cabina di regia e in Cdm (ma Speranza nega che si tratti di uno scontro).

Il ministro della Salute sostiene che non si possa procedere prima di aver visto come andranno i contagi a fine mese, quando si vedrà l’impatto della riapertura delle scuole. Franceschini insiste, ma Draghi sposa la linea di Speranza: entro il 30 settembre il Cts si pronuncerà sul distanziamento in tutti i luoghi chiusi, anche quelli di lavoro, poi il governo valuterà se cambiare le regole, per gli eventi – l’orientamento appare favorevole – ma eventualmente anche nelle fabbriche. Giorgetti ottiene che si valuti anche la riapertura delle discoteche (cavallo di battaglia leghista) e chiede che per i lavoratori sospesi i datori non paghino i contributi previdenziali.

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