Chi segue il M5S, e le sue recenti evoluzioni, non è rimasto molto sorpreso dal tentativo di cambio di casacca all’interno dell’Europarlamento. Non che sia un evento da trascurare, ma vi è piuttosto da cogliere una certa coerenza politica di opportunismo.
Beppe Grillo sa bene che il Movimento non è eterno, o quantomeno quello attuale: senza struttura, senza linguaggio, senza anima. E, cosa più importante, ha scoperto che governare è difficile; e che la democrazia, per sua natura, necessità (fortunatamente) di accordi, di alleanze, di convergenze e di punti in comune. Del resto Roma docet.
La collocazione politica è l’anima di un determinato partito. I valori che persegue, la società a cui aspira, i cambiamenti che vuole attuare: tutto dice la collocazione politica. E non può quindi essere minimante oggetto di scambi politici. Ancor più all’Europarlamento, dove la Brexit, ha riacceso la battaglia sull’esistenza stessa dell’Unione.
Da Farage a Monti, dicevamo. Il motivo era meno idealista di quanto si possa pensare: il 17 gennaio l’Europarlamento eleggerà il suo nuovo Presidente e il Movimento 5 Stelle vuole pesare, magari anche con una poltrona, alle votazioni. Ma il divorzio da Farage, e dal gruppo dei non iscritti a cui erano destinati in seguito alla Brexit, e l’ipotetico passaggio di gruppo sarebbe valso oro: 700 mila euro che altrimenti sarebbero andati persi.
Ma torniamo al M5S: la base è stata interpellata, nonostante circoli dal 4 gennaio un documento che attesti un accordo tra l’Alde e Grillo, e ha deciso: il 78% ha votato a favore. Il voto online, a cui ci si arriva dopo una decisione praticamente già presa, ad autostrada già imboccata, suonava quasi come uno sfottò. La base ha rumoreggiato, qualcuno ha azzardato un commento contrario, ma nessuno alla fine ha obiettato. Gli europarlamentari erano all’oscuro di tutto, non contano assolutamente nulla. Alla fine chi decide è sempre lui: Beppe. Nel bene e nel male.
Ma a giro stretto ecco che arriva la risposta, dopo i malumori all’interno dell’Alde: ‘’Sono arrivato alla conclusione che non ci sono sufficienti garanzie di portare avanti un’agenda comune per riformare l’Europa” ha dichiarato l’ex premier belga Guy Verhofstadt aggiungendo che “non c’è abbastanza terreno comune per procedere con la richiesta del Movimento 5 Stelle di unirsi al gruppo Alde”. “Rimangono differenze fondamentali sulle questioni europee chiave”.
Poco dopo, sul blog di Beppe Grillo la prima reazione: “L’establishment ha deciso di fermare l’ingresso del MoVimento 5 Stelle nel terzo gruppo più grande del Parlamento Europeo. Questa posizione ci avrebbe consentito di rendere molto più efficace la realizzazione del nostro programma. Tutte le forze possibili si sono mosse contro di noi. Abbiamo fatto tremare il sistema come mai prima. Grazie a tutti coloro che ci hanno supportato e sono stati al nostro fianco”, commenta il leader dei 5Stelle.
Un passo falso clamoroso, proprio su un terreno, quello dell’Europa e dell’Euro, che sembrava la spinta propulsiva del Movimento. E, cosa più grave, sul campo dell’affidabilità: i 5 Stelle hanno dimostrato ancora una volta di navigare a vista, di non avere le idee chiare; mostrare agli Italiani di non esser ancora maturati, di essere ancora poco credibili, specie sul piano internazionale, potrebbe essere il colpo letale alle ambizioni di governo dei Pentastellati.
Dopo la svolta garantista ora quella europeista.
Aspettando, magari, quella politica.