Ci faceva piacere avere la lista ideale dei vini per Natale di un produttore, così abbiamo mirato alto. Cinzia Canzian produce tra le bollicine italiane più rinomate nel territorio del prosecco, sperimentando e scavando tra i ricordi dei vecchi vignaioli del territorio. La sua azienda è Le Vigne di Alice. Prendete appunti perché ci guida in un viaggio enoico straordinariamente bello e appassionato. Buona lettura.
I 10 vini per Natale di Cinzia Canzan
Scegliere i vini per una cena o un pranzo di Natale è sempre stimolante. L’indecisione è solo tra pensare di abbinare un vino a un piatto o semplicemente optare per quello che più ti piace e condividerlo con gli altri.
La parola condividere è appropriata perché stiamo parlando di convivio, che significa appunto condivisione.
In un anno come questo ho pensato ad alcune bottiglie che ho ritrovato nella nostra cantina personale e alle quali sono affezionata perché legate a incontri indimenticabili, a persone che fanno il mio stesso mestiere e che hanno lasciato il segno.
Sembrerebbe scontato partire con uno champagne ma non quando è lo Champagne Roger Coulon di Vrigny nella Montaigne de Reims. E della loro produzione ho scelto Heri Hodie che è forse quello che costa meno, ma anche l’etichetta che ti fa capire come lavora un’azienda, la strada scelta, lo stile. E quando ti fermi a chiacchierare con Eric comprendi quanta strada dobbiamo ancora percorrere, quante esperienze vivere prima di arrivare lì, nell’Olimpo delle bollicine. Heri-Hodie è prodotto da uve Meunier 90% e i Pinot Nero 10%, provenienti da village premier cru su la Montaigne de Reims: 10% affinamento in tonneau e il resto proviene da una reserve perpetuelle del 1995, che non è altro che una riserva di vino riportante la memoria storica delle precedenti vendemmie, una sorta di metodo solera.
Mi piacciono gli champagne di Coulon perché sono eleganti e di grande personalità. Quando ho visitato il paesino di Vrigny sono rimasta incantata dalla posizione, dall’ordine, dalla pulizia. Certo, ma qui respiri la storia, e ti inchini di fronte a una tradizione centenaria perpetuata anche dai figli di Eric e Isabelle, tradizione evolutiva la definirei perché non si fermano, non si accontentano, ricercano. La loro viticoltura è oltre il biologico, siamo ormai all’agroforestazione, vale a dire quel concetto di equilibrio, di interazione flora e fauna che sono ben più ampi. Direi perfetto l’abbinamento con i ravioli in carta di riso ripieni di ostriche e funghi.
Dalla Francia alla Croazia la distanza è molta, ma le storie da raccontare sono comunque numerose e affascinanti. Il Graševina di Iločki Podrumi è un vino che arriva dalla Croazia continentale, a circa 600 chilometri dalla costa nella subregione Slavonia-Danubio Croato. La prima volta che l’ho assaggiato ho pensato che non avevo mai bevuto niente di simile. Uno dei loro vini era sulla mensa per l’incoronazione della Regina, la sola, The Queen Elizabeth nel 1953, e anche di fronte a queste storie ti inchini come se bevessi la pozione che rende Alice piccola. Sì, perché per capire il mondo del vino devi farti piccola, assaggiare e ascoltare.
Luigi Moio è una persona di cui ho una grandissima stima, un uomo tutto d’un pezzo, la cui etica, cultura, educazione, ritrovi nei suoi vini. L’azienda agricola è Quintodecimo fondata nel 2001 da Luigi Moio e Laura Di Marzio, sorge su una collina di Mirabella Eclano, in Campania, a poca distanza da Taurasi. Che cosa vuoi dire dei suoi vini se non che sono buonissimi, che li bevi e ti danno piacere, te li godi: l’Exultet è un Fiano d’Avellino, raffinato, elegante, potresti anche dimenticartelo in cantina per ritrovarlo dopo diverso tempo e goderne.
Un altro territorio che amo molto mi riporta sempre dai cugini d’Oltralpe, esattamente nella Loire. L’azienda è Domaine Champalou, si trova nell’appellation Vouvray, nel cuore della valle della Loira. Qui viene coltivato il vitigno principe della Loira, lo Chenin, chiamato localmente “Pineau de Loire”. La complessità dello Chenin si esprime a meraviglia sui terreni argillosi situati sulla riva destra del fiume. Di Chenin puoi bere un vino bianco fermo o uno spumante o un vino dolce e rimanere soddisfatta di tutti. Giusto per non tediarvi con il mio amore sviscerato per le bollicine ho scelto il Vouvray da uve Chenin blanc 100%, immediato, felicissimo il primo sorso a richiamo dei successivi, direi perfetto con il pesce e i frutti di mare.
Ci sono zone vitivinicole italiane poco conosciute ed esplorate: mi sono imbattuta nell’osteria della mia città in questo vino dal nome strano, Dhjete, e non vi nascondo che lo ho scelto per questo, a bottiglia chiusa. In fondo il rischio ha sempre un po’ fatto parte della mia vita e anche in questo caso mi è andata bene: l’azienda è Musto Carmelitano situata nel paese di Maschito in provincia di Potenza, zona di produzione dell’Aglianico del Vulture. Il Dhjeite però è un metodo ancestrale da uve di moscato. Ho voluto assaggiarlo perché la storia racconta appunto di un’antica pratica di spumantizzazione contadina che lo vedeva protagonista. Un moscato col fondo in sostanza, leggero, beverino, direi perfetto con una coppa di maiale o una bella fetta di sopressa.
L’ora volge al desìo, che significa che il chiarore dei bianchi lascia spazio al rosso dei tramonti di dicembre.
Claudio Bisi, dell’azienda omonima, mi sta troppo simpatico, quando penso a lui lo vedo sorridente, sereno, animo e faccia da vignaiolo vero, schietto, sincero come i suoi vini. Anche lui è uno che non si pone limiti, che esperimenta. Siamo nell’ Oltrepò Pavese, a San Damiano al colle, in provincia di Pavia. Non sono una “rossista” passatemi la forzatura lessicale, ma ci sono alcuni produttori che sono riusciti nell’impresa di farmi cedere di fronte a un vino rosso e Claudio Bisi è uno di questi. Rimaniamo comunque nei frizzanti, perché l’Ultrapadum è un ancestrale imbottigliato con un residuo zuccherino che finisce di fermentare in bottiglia, formando una spuma naturale. Se dovete sgrassarvi la bocca dopo uno zampone o un bollito importante che cosa bevete se non un vino come questo? Bella acidità e piacevolezza di una finissima carbonica che vi asfalta il palato e lo prepara al piatto successivo.
Il vecchio continente non finisce mai di sorprenderti, enoicamente parlando: con il prossimo vino si va in Catalogna esattamente a Costers del Sió a Flix sulle rive del fiume Sió nell’azienda agricola di Juan e José Maria Porcioles Buixó. Il luogo è solare così come i due fratelli la cui passione per la terra e la storia si ritrova in tutto ciò che fanno. Hanno acquistato e recuperato queste terre riscoprendo vecchi metodi e contenitori di affinamento. Ho scelto il Finca Sios perché è probabilmente il vino che più li rappresenta: da uve Garnacha 70% e Syrah 30% è vinificato in lagares di pietra, vasche del 12 ° secolo, situati accanto ai vigneti. Quando l’ ho assaggiato la prima volta la sensazione che ho provato è quella di quando arrosisci: un insieme di calore e imbarazzo che ti fa comprendere l’idea romantica di recupero di una vecchia storia enologica. Penso che starà di incanto accompagnato a un filetto di cervo al vino rosso.
Se penso al Perigord mi viene in mente quella volta che sotto una pioggia torrenziale ho visitato un’azienda che produce foie gras d’oie Ferme Dubois a Ladornac, ma quest’estate ho visto la luce in un calice di Saussignac di Thierry Daulhiac. L’Azienda biodinamica entrata nell’enoteca del mio cuore è Chateau Le Payral, nel sud-ovest della Francia, a Sarlat. Thierry non parla ad alta voce, non tenta di impressionarti con qualche effetto speciale. La sola cosa che emerge, forte, ma prepotente, è l’amore per la sua regione, il Perigord. I suoi vini parlano, ti fanno stare bene. Il Lou Payral è prodotto da uve merlot. Thierry ha atteso diversi anni e fatto diversi test prima di proporre questo vino al 100% senza aggiunta di solfiti e il risultato è di una pulizia sorprendente, la sensazione è quella che provi quando passi la mano su un velluto di seta, di quelli che ormai non trovi più. Non puoi dimenticare i suoi vini, e neppure farne a meno se vuoi far felice chi ti sta vicino.
Ricordo un po’ di anni fa l’incontro con un Signore del vino e con i suoi vini fatti a propria immagine e somiglianza: Gaspare Buscemi. Aprii una sua bottiglia una sera, una delle sue riserve, un merlot del 1986, una di quelle bottiglie che lui definisce esperienze, così ho capito chi avessi davanti, uno dei più grandi enologi italiani. Non vi racconto altro perché appena possibile dovrete fare lo sforzo di andare a trovarlo a Zegla e fermarvi ad ascoltarlo. I Perle d’uva sono vini frizzanti e, come nella metodologia originaria, la loro spuma è prodotta dalla fermentazione in bottiglia degli zuccheri delle uve, e non da zuccheri aggiunti, pertanto possono essere imbottigliati solo durante la vendemmia o immediatamente dopo. Sono vini con una longevità inaspettata, le uve utilizzate sono almeno di tre annate diverse e di diverse varietà; solitamente Ribolla, Friulano e Malvasia istriana, ma anche pinots e sauvignon non aromatico. Quando bevi un vino di Buscemi capisci che la tecnica te la puoi dimenticare solo quando l’hai imparata.
Da amante quale sono della Scozia non posso che terminare, God Save the Queen, con uno scotch whisky dal nome difficilissimo da pronunciare, soprattutto alla fine di un pranzo, e se lo pronuncerete male nessuno comunque se ne accorgerà.
Adnamurch’an single malt scotch whisky, si pronuncia ɑːdnəˈməːk(ə)n con “ch” che viene cioè letta come nella parola italiana “macchia”), è una parola che proviene dal gaelico ‘Rubha Aird nam Murchan’ e significa “promontorio dei grandi mari”. Andare in Scozia almeno una volta nella vita significa esaltare la parte onirica di noi stess – vale per chi ce l’ha e se ne accorge, ovviamente. Bere un bicchiere di single malt scotch whisky dovrebbe essere riservato a questi. AD/09.20:01 è il primo Ardnamurchan Single Malt prodotto. Il nome indica il mese di settembre dell’anno 2020 in cui è stato imbottigliato e “:01” significa che di fatto è il primo single malt messo in commercio dalla distilleria, il batch n. 01. L’età minima non dichiarata è di 5 anni ed è composto al 50/50 da whisky torbati e non torbati del 2014 e 2015, maturati per il 65% in botti ex-Bourbon e per il restante 35% in botti ex-Sherry. Ecco ora la vostra bocca saprà di favo, cera di miele, gusci di ostriche, salamoia, fragole al pepe nero e note di brace. Peccato non poter baciare nessuno!
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