A un certo punto sembrava che il 2020 potesse diventare almeno per l’ambiente il miglior anno dell’ultimo secolo: le restrizioni anti covid adottate praticamente in tutto il mondo hanno ridotto la circolazione delle auto del 50%, hanno lasciato a terra quasi l’80% degli aerei e fermato il 35% le attività industriali.
Secondo gli scienziati i lockdown avrebbero provocato una riduzione del 17% dele emissioni globali di CO2 rispetto al 2019. Ma col passare dei mesi si è insinuato il sospetto che i dati non fossero davvero così positivi.
NON SOLO CO2. Tanto per cominciare, la CO2 non è l’unico inquinante prodotto dalle attività umane: le industrie in particolare immettono nell’atmosfera milioni di tonnellate di particolato più o meno sottile. Queste particelle rimangono sospese nell’aria per tempi lunghissimi e riflettono parte del calore del Sole.
Studi condotti in passato hanno già dimostrato che la repentina chiusura di buona parte delle attività industriali provocherebbe un innalzamento delle temperature nel breve periodo proprio a causa della diminuzione dell’effetto ombrello causato dalle particelle solide sospese nell’atmosfera.
Eppure il recente lockdown ha ripulito l’aria in maniera sensibile, senza influire sulla temperatura del pianeta.La regolazione della temperatura del pianeta è un fenomeno complesso, al quale partecipano diversi elementi, molti dei quali strettamente correlati alle attività umane.
UOMO E CLIMA. Come abbiamo visto, le produzioni industriali immettono nell’atmosfera grandi quantità di particelle che schermano il pianeta dai raggi del Sole, andando così a compensare il riscaldamento provocato dalle emissioni di CO2 e di altri gas serra. Allo stesso tempo gli impianti di riscaldamento e le auto più vecchie e inquinanti immettono nell’aria tonnellate di fuliggine, una sostanza nera prodotta dalla combustione, che trattiene il calore riscaldando il pianeta.
E poi ci sono gli aerei, che insieme alle auto emettono grandi quantità di monossido azoto negli strati più bassi dell’atmosfera contribuendo all’innalzamento delle temperature.
CHI VINCE? Insomma, il diverso mix di gas prodotto dalle attività dell’uomo, dai trasporti e dall’industria può incidere in maniera diversa sul clima del pianeta. L’effetto del lockdown sulle temperature dipende quindi da quale componente ha avuto la meglio sulle altre.
Scott Archer Nicholls e James Weber, due ricercatori dell’Università di Cambridge, hanno costruito un modello climatico computerizzato e lo hanno alimentato con i dati relativi alle emissioni registrate nel periodo febbraio – giugno di quest’anno.
Hanno concluso che, nonostante una sensibile riduzione delle emissioni globali e degli inquinanti, l’effetto complessivo sul clima del lockdown è stato praticamente nullo, poiché le diverse componenti che agivano in direzioni diverse si sono, di fatto, compensate.
Tranne che in alcune zone: la Cina per esempio si è in generale riscaldata, a causa di una repentina riduzione delle emissioni di particolato. E questi cambiamenti negli schemi climatici potrebbero influire per esempio sul ciclo dei monsoni.
FERMARSI NON BASTA. In generale, concludono i ricercatori, sebbene il lockdown abbia contribuito in maniera sensibile alla riduzione dell’inquinamento, non sembra sufficiente per invertire la rotta sul cambiamento climatico. I gas serra più pericolosi, CO2 e metano, rimangono nell’atmosfera per decenni a differenza delle particelle solide o di altri gas come il monossido di azoto.
L’obiettivo quindi non cambia: arrivare il prima possibile al traguardo di zero emissioni per salvare il nostro pianeta.