Ospiti di Vanity Fair Stories, i Måneskin raccontano cosa pensano dei ventenni di oggi, di come lavorano alla loro musica e dei loro sogni per il futuro.
I ventenni di oggi sono una generazione impegnata e consapevole, desiderosa di lasciare il proprio segno nel mondo. A spiegarlo sono i Måneskin che, ospiti di Vanity Fair Stories, raccontano al direttore Simone Marchetti la spinta che li ha portati a scrivere Vent’anni, il loro ultimo singolo dedicato proprio ai più giovani. «Negli ultimi anni molte tematiche che non erano visibili a tutti hanno acquistato sempre più importanza ed è fondamentale ricordarcelo, perché rappresentano l’identità che lasceremo.
Nel bene e nel male, ogni generazione cerca di correggere gli errori delle precedenti» spiega Damiano in collegamento. «Volevamo fare luce su emozioni comuni indipendentemente dalla generazione di cui si fa parte. Speriamo di essere riusciti ad accorciare questo gap» interviene Victoria che, specie sul fronte dell’identità di genere, considera i giovani d’oggi molto più informati di quanto non lo fossero prima.
«La generazione di oggi ha una visione molto giusta e sana, meno chiusa e antica sui ruoli di genere, sui cliché, sui compartimenti nei quali le ragazze e i ragazzi devono rientrare per forza. Non ha nessun senso catalogare le persone: ognuno ha la sua identità. Sia dal punto di vista maschile che femminile, c’è grande progresso. Bisogna abbattere le definizioni di genere perché il sesso non ti definisce in nessun modo». La diversità, d’altro canto, è proprio uno dei valori fondanti dei Måneskin, visto che parliamo di un gruppo formato da quattro ragazzi diversissimi tra loro ma che, insieme, hanno sempre dimostrato una grande armonia. «È vero che siamo molto diversi. Siamo quattro teste che sono riuscite a incastrarsi grazie alla chiave della musica. Ci esprimiamo nella maniera più libera possibile, senza tarparci le ali a vicenda» aggiunge Thomas. «Durante il nostro percorso abbiamo fatto in modo di adattarci capendoci, e questo ci ha aiutati a crescere non solo come individui, ma anche come gruppo. Abbiamo sempre cercato di valorizzarci come una grande famiglia» chiosa Ethan.
Il lockdown, specie per un gruppo come il loro, è stato particolarmente difficile perché «la nostra musica nasce quando siamo insieme», ma questo non li ha scoraggiati visto che il loro nuovo album ha cominciato a prendere forma proprio durante il confinamento, con tutti i membri che, rispondendo a un riff di chitarra, a una strofa o a un loop di batteria, hanno cominciato ad aggiungere idee e visioni su quello che avrebbero voluto fare. «Il più casinista è Thomas, mentre Damiano riporta l’ordine, è un po’ il nonno della band, quello che dice di mettere i tappi per le orecchie e di abbassare il volume» scherza Victoria prima che Damiano affronti un altro problema particolarmente caldo per i ventenni di oggi: la dipendenza dai social. «Speriamo di poter rappresentare qualcosa di diverso e di essere uno sprono per tutti i ragazzi che fanno fatica a esprimersi. Spesso l’utilizzo dei social non è corretto e porta a mitizzare dei personaggi che ci fanno vedere le vite perfette e ci fanno sentire sbagliati se non le raggiungiamo anche noi. Non è così, bisognerebbe fare un ricalcolo, proprio partendo dai bambini» racconta il frontman. Sul futuro, invece, la speranza è sempre la stessa: tornare a suonare dal vivo il più presto possibile – «Il contatto è la cosa più bella che ci possa essere» spiega Vittoria – e dare vita a una ricerca musicale sempre più peculiare. «La cosa più bella della musica è che lo stesso accordo, la stessa nota e la stessa parola le puoi suonare e dire in miliardi di modi diversi. C’è sempre la possibilità di reinterpretare la cosa, di dare un nuovo punto di vista su qualcosa di già esistente. Noi vogliamo mettere la nostra impronta e il nostro marchio nella nostra musica cercando di essere sempre originali».