di Mariano D’Antonio
I seguaci di Beppe Grillo eletti nelle Regioni del Mezzogiorno, i cosiddetti pentastellati, del MoVimento 5 Stelle, si sono impegnati nei mesi scorsi a presentare e fare approvare dai Consigli regionali in cui sono stati eletti, una mozione perchè sia indetta una manifestazione commemorativa della caduta del Regno delle Due Sicilie, manifestazione inizialmente da loro etichettata come Giornata della Memoria, poi opportunamente ridimensionata in Giornata del Ricordo per non confonderla con la commemorazione della tragedia degli ebrei massacrati ignominiosamente dai nazisti fino alla conclusione della seconda guerra mondiale.
L’iniziativa degli eletti nelle liste delle 5 Stelle è stata inizialmente applaudita soprattutto dai cosiddetti neoborbonici, una sparuta setta di nostalgici dei Borbone, la dinastia che regnò nel Sud d’Italia per oltre un secolo, fu sconfitta nel 1860 da Garibaldi a capo della marcia vittoriosa dei Mille da Palermo a Napoli, fino ad essere definitivamente spazzati via, i Borbone, il 13 febbraio del 1861 quando la fortezza di Gaeta nella quale si era rifugiato l’ultimo esponente della dinastia borbonica, Francesco II, capitolò permettendo al re, detto Franceschiello per la sua personalità mediocre, a sua moglie Maria Sofia e ai residui cortigiani, di rifugiarsi a Roma sotto la protezione del papa Pio IX.
La mozione dei pentastellati che intende rivalutare i Borbone, ha sollevato l’indignazione di alcuni studiosi di storia dell’Italia moderna, i quali hanno puntualmente riesumato fatti e misfatti dei Borbone per contrastare la loro riabilitazione e per rivendicare ragioni e meriti dei patrioti che li combatterono e s’impegnarono nel Risorgimento a costruire l’unità del nostro paese. Il merito di questi storici è stato di rivendicare il carattere rivoluzionario e progressista del movimento risorgimentale che travolse il governo retrogrado, illiberale, autoritario dei Borbone. Gli storici odierni non si sono però interrogati (non era il loro mestiere) sui motivi che spingono oggi i pentastellati ad arruolarsi nelle file dei nostalgici dei Borbone, per non parlare dell’atteggiamento assunto dal governatore della Puglia Emiliano, favorevole ad approvare la mozione dei grillini nel Consiglio regionale pugliese. Gli storici, come altri esponenti qualificati dell’opinione pubblica, sono giustificati nel trascurare la posizione di Emiliano, che ormai si muove dentro il Partito democratico soltanto per sgomitare e fare la guerra a Renzi appoggiando strumentalmente di volta in volta il MoVimento 5 Stelle per costruirsi quel consenso personale che non trova dentro il PD, come è stato dimostrato recentemente quando Emiliano si è collocato al terzo posto dopo Renzi e Orlando nelle primarie indette dai democratici.
Se però si vuole contrastare la riabilitazione dei Borbone, i loro presunti meriti (che non ebbero) nel governo del Sud, i decantati primati che il Mezzogiorno avrebbe conseguito in più di cento anni di regno borbonico, è necessario, a mio avviso, lasciare il terreno della contesa tra gli studiosi di storia e porsi alcuni interrogativi sull’attualità politica ed economica dell’Italia dei nostri giorni.
La prima domanda da porsi è: perchè i seguaci di Beppe Grillo non disdegnano di allearsi con i sopravvisuti nostalgici dei Borbone? La risposta a mio avviso è semplice: i pentastellati sono diventati neoborbonici perchè non hanno una precisa identità, non hanno una storia alle spalle e non avendo storia non hanno una politica nè hanno da proporre agli italiani un futuro plausibile. Come la loro immagine speculare collocata a destra, vale a dire come i sostenitori di Salvini, i grillini sono infatti i collettori del risentimento e dell’insoddisfazione dei cittadini dei nostri giorni per la riduzione dei redditi e per la caduta dell’occupazione avvenute in Italia negli ultimi dieci anni. Sono l’antipolitica e nel migliore dei casi sono gli alfieri dell’onestà, l’unica bandiera meritevole che i pentastellati sono in grado di issare. Perciò sbaglia, secondo me, chi da sinistra cerca d’inseguire i grillini sul terreno del moralismo, della riduzione dei cosiddetti privilegi della politica, dei vitalizi ottenuti in passato dai parlamentari, dei gettoni di presenza tuttora pagati spesso generosamente agli amministratori delle imprese pubbliche.
Qui veniamo ai problemi dell’Italia di oggi e implicitamente alla maniera più efficace di contrastare l’antipolitica nonchè i rigurgiti neoborbonici che i pentastellati strumentalmente pensano di cavalcare. Si tratta, a mio avviso, di rivendicare la buona politica, di riabilitare l’impegno, la responsabilità, il coraggio di chi sceglie di fare politica per professione. Insomma occorre riproporre la professionalità della politica, intesa come la capacità dei politici di entrare nel merito del governo della cosa pubblica, assumendosene il peso ma al tempo stesso attivando i canali di ascolto dei cittadini, organizzando il confronto con i compagni, apprezzando le proposte degli avversari quando meritano di essere apprezzate. E soprattutto occorre che chi fa politica, pratichi l’umiltà nel riconoscere gli errori commessi, nel correggerli, nel rendere perciò conto pubblicamente del proprio operato.
La politica da praticare oggi, è fatta insomma di propositi espliciti, di un insieme di traguardi dichiarati e sottoposti alla verifica dei cittadini, il tutto sorretto da un comportamento misurato del politico di professione. Valgono per quest’ultima qualità personale le raccomandazioni scritte più di due secoli fa da Ferdinando Galiani, il primo studioso napoletano di economia a scrivere nel 1750 un libro sistematico sulla moneta, il quale in una lettera ad una amica francese (1770) suggerì il comportamento che dovrebbe seguire chi s’impegna nella difficile professione della politica: molta calma; molta aritmetica, cioè la misura dei problemi da affrontare e degli effetti annunciati; niente d’infinito, niente d’immenso, ossia sobrietà e piedi per terra.
*da Qualcosa di Napoli