Cultura

Il declino della scuola italiana: perché il nostro sistema educativo perde efficacia?

Nel nostro paese l’istruzione è un’emergenza, da diversi punti di vista. Nessuno sembra più soddisfatto di un sistema scolastico che risulta essere tra i peggiori d’Europa, e ultimo nel mondo nella classifica che valuta i migliori sistemi educativi.

A svantaggiare il nostro Paese sono alcuni parametri come la scarsa considerazione degli insegnanti e l’investimento sulla scuola. Un ultimo posto causato direttamente dal poco valore che riveste il ruolo di educatore e dalla carestia di investimenti destinati all’istruzione e all’educazione. Come questi due parametri possano incidere sulla scuola italiana ci sembra chiaro. Per il primo basta guardare come sono ridotte alcune strutture scolastiche, o leggere qualche articolo sui giornali degli ultimi tempi,del secondo se ne parla purtroppo molto meno, e a tal proposito abbiamo voluto sentire uno dei piu` autorevoli pareri, quello del dottor Vittorio Lodolo D’Oria, che da anni si occupa della salute dei docenti,  autore di numerosi studi scientifici e pubblicazioni sull’argomento.

La scuola è al centro del dibattito politico degli ultimi tempi, si parla di innovazioni e maggiori investimenti nel settore dell’istruzione, cosa ne pensa?

«I proclami non mi hanno mai convinto, soprattutto quando hanno un vago sapore politico/elettorale. La scuola ha bisogno di ben altro: occorre riqualificare la professione del docente; dargli credito sfatando i soliti stereotipi; riconoscere le patologie professionali (all’80% di tipo psichiatrico, poiché figlie di usura psicofisica tipicamente data da una helping profession); avviare i relativi programmi di prevenzione; infine aumentare le retribuzioni da fame. Invece ciò che il governo ha fatto finora è davvero inqualificabile: basti vedere – su tutto – lo scippo dei diritti di pensionamento alla cosiddetta Quota 96».

Lei si occupa della salute degli insegnanti, categoria ultimamente vista come classe privilegiata per il ridotto orario di lavoro. E` proprio vero che gli insegnanti italiani lavorano meno dei loro colleghi degli altri Paesi europei ed in generale meno degli altri lavoratori?

«Sono proprio questi gli odiosi stereotipi cui accennavo sopra. Fanno comodo a uno Stato miope che può così tenere basse le retribuzioni, infischiarsene delle malattie professionali e soprassedere sulla loro prevenzione che, tra l’altro, è prevista per legge (art. 28 DL 81/2008)».

Ogni tanto sentiamo casi di maltrattamenti ai minori da parte degli insegnanti. Le telecamere ci mostrano scene che non vorremmo mai vedere. Secondo lei è positivo che i media si occupino di queste cose?

«I media fanno il loro lavoro: devono aumentare l’audience, vendere copie di giornali e attirare l’attenzione dello spettatore/lettore/utente. Poi talvolta si ricordano che devono anche informarlo e, se riescono a coniugare le due cose, tanto meglio. Il vero problema nasce dal fatto che i media si limitino a “scandalizzare” senza cercare di comprendere la causa scatenante del problema. Nessuno così arriva magari solamente a ipotizzare che un insegnante di 60 e più anni, senza nessun controllo medico né programmi di prevenzione attivati, alle prese ogni giorno con 30 ragazzi, per più ore al giorno, per 9 mesi all’anno, per cicli di 3 o 5 anni, possa arrivare a dar fuori di matto».

La richiesta di molte persone sui social di avere telecamere fisse in tutti gli ambienti scolastici potrebbe risolvere il problema?

«Quella della telecamera è una scorciatoia improbabile che arrecherebbe più danni che benefici. La scuola e i suoi docenti rappresentano la seconda agenzia educativa dell’individuo (la prima è la famiglia) che si basa su un rapporto di fiducia col personale docente e non sul controllo rigoroso dello stesso. Per comprendere l’insensatezza della cosa basterebbe ipotizzare di applicare la reciprocità: l’insegnante che chiede l’applicazione di telecamere in famiglia per sconfiggere la violenza domestica. Insomma finiremmo per diventare una sorta di grande fratello orwelliano».

Quali sarebbero gli strumenti più idonei a prevenire questi problemi?

«Comportamenti gravi, quali quelli aggressivi su bambini o su deboli/disabili da parte di docenti, sono spesso espressione di un disagio psichico della persona che potrebbe essersi acuito negli anni. Non è un caso che, docenti sorpresi a commettere siffatti soprusi, abbiano un’età superiore ai 45 anni ed un’anzianità di servizio maggiore di 20. Si deve prendere atto che le patologie professionali dei docenti sono di tipo psichiatrico e la loro salute deve essere accuratamente tutelata e monitorata nel tempo con programmi di prevenzione».

Insegnanti e pensione: cosa pensa in proposito? L’esperienza di un insegnante anziano può compensare la minore energia?

«Il sistema attuale non regge. Siamo passati dalle baby-pensioni del ’92 (15 anni di anzianità erano sufficienti a ritirarsi in pensione) alla situazione attuale in cui occorre avere un’età anagrafica di 67 anni. Si sono dunque succedute quattro riforme previdenziali dal ’92 ad oggi e nessuna di queste è stata preceduta da un’attenta analisi delle condizioni di salute della categoria professionale. Oggi l’unica patologia riconosciuta per la causa di servizio di un docente è la laringite cronica, mentre le patologie psichiatriche hanno un’incidenza di 5 volte superiore. Evidentemente qualcosa non va. Si dovrebbe prevedere un sistema che, con il progredire dell’età, consenta al docente di effettuare meno ore di docenza frontale, dedicandosi a mansioni di tipo amministrativo».

Introdurre la meritocrazia nella scuola può incentivare il lavoro degli insegnanti?

«Direi che abbiamo messo già tanta carne al fuoco: lavoriamo prima su questa (che è davvero urgente) e poi ci occuperemo eventualmente di meritocrazia tra docenti. Oggi temo che la questione serva solo a distrarci dalle vere emergenze di cui abbiamo appena parlato».

Vittorio Lodolo D’Oria, 53 anni, è medico specialista, responsabile delle Relazioni Esterne del Centro di Aiuto alla Vita della Clinica Mangiagalli a Milano. Si occupa del Disagio Mentale Professionale degli insegnanti dal 1998, sviluppandone prevenzione, cura e aspetti medico-legali anche a sostegno dei Dirigenti Scolastici. E’ stato deputato nella XII Legislatura e capogruppo nella Commissione Speciale per l’Infanzia. Felicemente sposato dal 1990, è padre di quattro figli e portavoce dell’associazione Famiglie Numerose Cattoliche. E’ autore di tre libri sulle due agenzie educative istituzionalmente riconosciute (la Scuola e la Famiglia): Scuola di Follia (Armando Editore-2005), La Scuola Paziente (Alpes Italia-2009), Pazzi per la Scuola (Alpes Italia-2010). Si adopera tuttoggi affinché le Istituzioni riconoscano le malattie psichiatriche quali patologie professionali della classe docente.

 

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