Ci sono voluti più di dodici anni e innumerevoli tentativi ma ora il divorzio breve è legge. Approvata alla Camera in via definitiva (con 398 sì, 28 contrari e 6 astenuti), la l. 55/ 2015 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale lunedì scorso. Il testo ha introdotto le nuove «disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi» modificando la l. 898/1970. La norma avrà applicazione immediata a partire dal 26 maggio ed inciderà anche sulle pratiche di divorzio in corso. I tempi per proporre la domanda di divorzio sono stati ridotti da 3 a 1 anno se la separazione tra i coniugi è giudiziale; nel caso, invece, di separazione consensuale sono previsti solo 6 mesi di attesa dalla presentazione al giudice della domanda in questione. Allo scadere dei termini ognuno dei due coniugi è nuovamente celibe o nubile. Il testo prevede anche che la comunione dei beni, se prescelta all’atto del matrimonio, viene meno nel collegato alla sentenza.
La norma interviene anche sull’art. 191 c.c., che disciplina lo scioglimento della comunione, aggiungendo un nuovo comma: nell’ipotesi di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglierà nel momento in cui il tribunale autorizzerà i coniugi a vivere separati, oppure alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. In più, «l’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione».
La legge ha accontentato le forze politiche progressiste, le quali aspiravano addirittura al “divorzio lampo”, ma non quelle clerico-moderate. Queste ultime hanno gridato il loro allarme per l’ennesimo attacco alla concezione della famiglia, menomata sempre più alle fondamenta da questo terremoto del castello matrimoniale, da cui le generazioni hanno tratto guida, insegnamento, esempio e direttive. L’approvazione del testo ha provocato la dura condanna degli ambienti cattolici. La Chiesa ha obiettato che è innegabile l’esigenza di un periodo di pausa per riflettere sulle proprie decisioni, soprattutto in presenza di figli minori. “È innegabile – hanno dichiarato i critici di questa ulteriore accelerazione – che in certi casi i rapporti tra coniugi diventano infernali e la rottura della convivenza rappresenta una forma di liberazione”. “E’ anche vero, però – hanno proseguito – che le decisioni impulsive, dettate da immaturità o fatti contingenti e transitori, miranti a rompere l’unità della famiglia, coinvolgono i figli, specie se minori, segnandoli nel carattere e nella personalità”. Categorica in questo senso è stata anche la presa di posizione da parte del quotidiano della Cei, L’Avvenire, e del settimanale Famiglia Cristiana.
Il divorzio è stato introdotto il primo dicembre 1970 con la legge Fortuna-Baslini, ma già nel 1800 il Codice di Napoleone consentiva di sciogliere i matrimoni civili in casi particolari e con modalità complesse. La l. 898/1970, confermata poi dal referendum del 1974, è stata in seguito modificata dalle leggi 436/1978 e 74/1987. Quest’ultima ha ridotto il periodo di separazione da 5 a 3 anni. Dopo l’approvazione del divorzio breve, è giunta in Parlamento anche la discussione sugli accordi prematrimoniali. Le pressioni sul divorzio immediato tuttavia continuano perché l’Italia resta l’unico Paese europeo insieme a Polonia e Irlanda a non prevederlo. In Spagna ad esempio il divorzio, approvato dal governo socialista di Zapatero già nel 2005, è molto più breve di quello italiano.