Il dottor Calligari dice che bisogna andare a votare: sempre e comunque.
Dal canto mio gli ribatto che dalle mie parti chi non ha fame non si siede a tavola.
Lui scuote la testa, per mostrare il proprio dissenso. Ma non sembra arrabbiato, quasi come se, pieno della sua solita boria, percepisca ancora davanti a sé un margine utile per riuscire a convincermi.
Per me è un folle: è uno che viene da un altro pianeta. Anzi: da un’altra epoca.
Mi spiego. Sento le parole del dottor Calligari e torno all’immagine di mia madre. Vedo lei, giovane, e noi due figli ancora ragazzetti. Domenica mattina di un’altra Italietta, sommersa da facce sorridenti, manifesti, bigliettini e brochure, per la gioia delle tipografie: il programma è stabilito, prima alla messa, poi al seggio elettorale e, soltanto dopo, in pasticceria.
I capelli sono ancora di un rosso che le illumina il viso.
Lei infila lo studio con passo deciso, come chi sa bene che cosa cerca. Poi dalla consolle – che di solito inghiotte bollette e ogni genere di documenti (e la cui apertura è rigorosamente vietata a me ai due fratelli) – la donna estrae una busta. Dalla busta, ancora, la giovane madre estrae quello che evidentemente dev’essere il certificato elettorale. E ai ragazzetti che provano a proporle – sempre dopo la messa, per carità – un altro itinerario, lei fa scattare la censura: “Anatema, al voto si va sempre e comunque”. Se no, “quelli” se ne accorgono…
I due fratelli non capiscono: chi sono “quelli”? si chiedono. In verità neppure la donna lo sa, però subito incalza. “Quelli controllano e alla seconda o terza volta che un cittadino non vota… zac!”.
I due ragazzetti, impauriti, si chiedono: come zac? E potrebbero figurarsi finanche singolari pene corporali, amputazioni comprese, prima che la donna puntualizzi strabuzzando gli occhi come di fronte ad una magica rivelazione: “Alla seconda o terza vota, zac: ti tolgono il lavoro. Anzi, no: forse mi sbaglio. Ti denunciano. Ma che dico? Prima ti denunciano, poi ti tolgono il lavoro e infine ti mettono in prigione”.
No, caro dottor Calligari: non andrò alle urne, sempre e comunque. Anche se mi dovesse costare la libertà.