La Statale di Milano ha esteso a diversi corsi di laurea l’obbligo dell’esame base di latino: ecco perché questa lingua può rivelarsi utile, anche al lavoro
Troppo spesso sottovalutiamo il ruolo che le cosiddette soft skill, le competenze trasversali, hanno nel nostro successo professionale; eppure, spesso proprio queste sono in cima alle tabelle di valutazione dei cacciatori di teste, coloro che reclutano professionisti per conto delle aziende. Avere un rapporto disinvolto con la propria lingua, ad esempio, e saperne sfruttare i tratti performativi, cioè quelli che fanno accadere delle cose, dà una marcia in più. Attraverso la lingua, inoltre, costruiamo gran parte delle nostre relazioni e tutti noi sappiamo fin troppo bene quanto queste, nel bene e nel male, influiscono sulla nostra carriera.
E per arrivare a considerazioni ancora più ampie, non è mai superfluo ricordare che i nostri pensieri prendono forma attraverso le parole che conosciamo; un aforisma del filosofo Wittengstein è a questo proposito emblematico: «I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo».
Quando si parla di lingua non si smette mai di imparare e tutti noi possiamo trarre spunti di riflessione e nuove consapevolezze dalla vita quotidiana. Dopotutto i nostri messaggi di WhatsApp sono fatti di parole, le nostre email professionali anche, e i nostri rapporti con colleghi e superiori si costruiscono essenzialmente attraverso le parole.
Certo, non tutto può essere tratto dagli stimoli che ci offre la quotidianità. In questo senso l’istruzione, a tutti i livelli, gioca un ruolo cruciale. Non è quindi priva di significato una recente iniziativa della Statale di Milano che ha esteso l’obbligo dell’esame di latino, già previsto per chi frequenta Lettere, anche agli studenti di Scienze dei beni culturali e in Storia. Letteratura, un po’ di lessico fondamentale, analisi testuale di passaggi emblematici in lingua originale e nozioni sul contesto culturale che li ha generati: gli studenti di questi corsi potranno così raggiungere il livello A2/B1 della certificazione linguistica del latino. Lo stesso rettore dell’Ateneo, Elio Franzini, l’ha definita «una scelta in controtendenza, anzi una vera e propria sfida, con cui la Statale intende ribadire e promuovere la centralità del latino come lingua delle comuni radici della civiltà europea».
A una notizia del genere non sono pochi coloro che potrebbero sollevare un sopracciglio. I commenti sono sempre gli stessi, fra cui «il latino è una lingua morta», «il latino non serve a nulla», «perché invece di insegnare cose davvero utili si perde tempo con queste sciocchezze?». Ecco, per tutte le solite osservazioni che lasciano il tempo che trovano, vi rimandiamo alla gallery all’inizio di questo articolo dove le professoresse Chiara Torre e Paola Moretti della Statale hanno individuato cinque motivi per cui il latino è tuttora prezioso; partendo da una considerazione numerica che può essere utile anche per i più scettici: l’inglese, da molti percepito come la lingua “più utile” in assoluto (ma in questo articolo vi proponiamo una riflessione più estesa), “deve” circa il 60% delle sue parole, direttamente o indirettamente, proprio al latino.
Non dimentichiamo, inoltre, che lo studio (e, a onor del vero, in misura maggiore l’uso) di più sistemi linguistici ha effetti benefici sul nostro cervello, fra cui quello di ritardare il declino cognitivo come spiegano Maria Garraffa, Antonella Sorace e Maria Vender nel loro «Il cervello bilingue» (Carocci). Ma non solo: apprendere più lingue aiuta a cogliere più facilmente (e a utilizzarlo per i propri scopi) il modo in cui funziona in generale il linguaggio; contribuisce inoltre all’acquisizione di un vocabolario più esteso all’interno di ogni lingua che si conosce, un dettaglio ancora più significativo nel caso del latino, lingua madre dell’italiano e di molte altre lingue parlate in Europa.
VanityFair