Quando si parla di Mar Mediterraneo, il comune sentire in Italia è quello di un senso di paura (i migranti, il terrorismo) oppure, nel migliore dei casi di sottovalutazione.Oggi, senza particolari politiche di attenzione da parte nostra, il distretto marittimo (porti, cantieri, pesca, logistica, ECC.) occupa circa il 2% della forza lavoro (mezzo milione di persone).
Pensare che un paese come l’Italia non ha nemmeno un Ministero dedicato alla Marina Mercantile.
Basta un dato per comprendere l’importanza del mare e del trasporto marino: per mare si muovono il 90% delle merci mondiali.In Europa tre porti (Rotterdam, Amburgo ed Anversa) muovono il 20% delle merci europee: tutti i porti sul mediterraneo (con l’Italia dentro) non raggiungono il 15%.La Cina, che ha riscoperto prepotentemente il Mediterraneo come mare strategico (anche perché in filiera con il canale di Suez), con la “China Cosco Shipping Group” ha investito, nell’ambito del mega progetto BRI (la nuova via della seta), una enorme quantità di miliardi sul porto del Pireo, portandolo da un traffico merci di poco più di 15 miliardi/anno a circa 200 miliardi/anno. Per noi spesso la politica marittima si è ridotta a quella delle grandi navi da crociera. Ma esistono anche i porti, il trasporto di containers, la cantieristica, la pesca insomma, l’industria marittima. Ottimo il risultato ottenuto dal Governo di avere il porto di Napoli dichiarata “Zona Economica Speciale” con i risparmi fiscali che questo comporta. Forse bisogna cambiare completamente atteggiamento culturale e conseguentemente politica nazionale.
Il mare Mediterraneo non è un problema per l’Italia ma è, forse, l’unica vera possibilità di futuro in termini di forza economica, benessere ed occupazione e quindi per il peso politico mondiale del nostro paese.Ovviamente siamo già in ritardo, ma non tutto è perduto. Ottimismo nella ragione, si potrebbe dire: lasciamo i porti ed affrontiamo il mare aperto. Non ci sono alternative