E’ passato ormai qualche giorno dal 13 novembre. Parigi, nonostante si sforzi di tornare a vivere, ha paura come l’intera Europa, come Beirut, come New York, come Gerusalemme da sempre. Come il Vaticano.
E’ la paura nuova, la paura viscerale e profonda di ciò che non si vede, di ciò che non si accetta. E’ la paura globale che non conosce confini, trattandosi di un fenomeno che concettualmente non si limita al tipico stato di intensità emotiva, né amplia il suo spettro traducendosi in uno stato di terrore indotto, che trasmuta un qualsiasi stimolo neutro in stimolo fobico. Si tratta invece di quella paura più temibile perché addiviene alla angoscia diffusa, sparsa, indistinta, disancorata, fluttuante, priva di una definizione chiara; perché si libra in una illogicità e in una tautologia che perseguita.
Si tratta di una paura dilatata nella percezione e persistente nella proiezione del divenire in quanto, inserendosi tra il soggetto e la sua esistenza, scherma le esperienze, opacizza gli entusiasmi, senza aderire alla concretezza di un motivo. Si vive schiacciati da una paura acuta e contagiosa che si trasferisce, irrimediabilmente, da persona a persona, come in una sorta di rinnovata unzione pestifera o in un magmatico e travolgente ipocondrismo globale. Sembra che la paura si accresca moltiplicandosi, come in un corpo umano degenera la proliferazione neoplastica, e che sparga le sue spore dentro un organismo fragile che si rallenta strascicando i sintomi di una ventilata e sempiterna innocenza a mò dei bambini che urlano al padre di cercare il mostro chiuso nell’armadio.
Eppure la paura pur sembrando il dono di ritorno dell’incoscienza, si mostra spregevole della straordinarietà della normalità; diventa il lato oscuro della nostalgia del migliore dei mondi possibili creato intorno all’uniformità che alimenta il conformismo, altra faccia dell’intolleranza.
L’intolleranza e l’odio sono causa ed effetto primordiali della paura che eternamente ottiene il Male dall’operare nel nome del Bene eternamente enunciato. Anche se questo mondo sembra quotidianamente decantare nei gesti dell’amore, le sue sfere invisibili sono inumidite dalla paura e chi è rinserrato nella paura cerca febbrilmente un bersaglio su cui scaricare l’ansia accumulata per ristabilire la perduta fiducia in sé stesso cercando di placare quel senso di impotenza che è offensivo, spaventoso, a tratti umiliante.
E allora o è l’odio della o è la ritrovata innocenza della pace.