Sono giorni di trattative serrate e studio attento delle mosse dell’avversario quelli che vedono la politica campana alle prese con la definizione di candidature e alleanze in vista delle Regionali. Il PD, dopo aver fissato al 14 dicembre la data delle Primarie, discuterà nella direzione regionale della prossima settimana sul tema delle alleanze. Il messaggio venuto fuori dalla riunione di lunedì sera dei democratici è che non sarà il candidato a governatore, bensì il partito, a stabilire con chi correre per lo scranno più alto di Palazzo Santa Lucia. Tra gli spettatori interessati delle vicende piddine anche il Nuovo Centrodestra, che si è conquistato dopo l’affermazione delle Provinciali un ruolo da potenziale ago della bilancia. Abbiamo discusso di questo e di altro con il presidente del Consiglio regionale, Pietro Foglia, figura di spicco del partito di Alfano in Campania.
Presidente, partiamo dalle Provinciali che ad Avellino il centrodestra ha vinto, mentre a Benevento il vostro candidato è stato praticamente sconfitto dal voto ponderato. Quanto l’hanno sorpresa questi risultati?
«In Irpinia è stata una sorpresa molto piccola in verità perché incontrando gli amministratori avevamo percepito un malessere diffuso per la proposta del PD. Le Provinciali non le ha vinte il centrodestra, le ha perse il Partito Democratico, ed è quello che accade quando le decisioni non sono largamente condivise. Ma questo è un loro problema, non di Ncd. Per quanto riguarda il Sannio, posso dire che quello del voto ponderato è un errore in quanto privilegia alcune comunità a scapito di altre, ma è la legge e bisogna accettarla sia che si vinca, sia che si perda».
All’interno del centrodestra, la performance di Ncd è stata migliore di quella di Forza Italia. È stata un po’ una sua vittoria personale, un riconoscimento per il lavoro fin qui svolto?
«Non è stata una vittoria personale, ma di una squadra e dei candidati. In queste elezioni c’è stato un riconoscimento della “vicinanza”, sono prevalse logiche di rappresentanza e non partitiche. Essendo cadute le ideologie, infatti, gli amministratori hanno bisogno di punti di riferimento».
Nella sua Irpinia però il presidente di centrodestra dovrà fare i conti con un Consiglio provinciale a maggioranza di centrosinistra. Visti i numeri, forse De Mita aveva ragione a insistere sulla strada dell’intesa istituzionale…
«Le larghe intese sono un rimedio, non rappresentano il sistema; intervengono in situazioni emergenziali, per il bene del Paese e quando prevale l’interesse collettivo. Non si possono teorizzare prima, non fa parte della politica dividersi le poltrone».
Parlando di Udc, in Emilia Romagna e Calabria il Nuovo Centrodestra e i centristi correranno assieme con un candidato comune. È una prospettiva che vede realizzabile anche in Campania, nonostante la freddezza degli ultimi tempi tra Ncd e De Mita?
«Se la costruzione di un nuovo partito si basa su rancori personali, si tradisce la storia politica. Il progetto di unificazione di Udc e Ncd va al di là delle alleanze create in vista delle Regionali, va al di là del localismo e delle rivendicazioni di carattere personale. Non dipende dai rappresentanti regionali, ma spetta al livello nazionale concretizzare la linea politica. Da parte nostra la mano tesa verso l’Udc resta, non solo in vista delle Regionali».
Quindi lei crede nel progetto del Movimento per la Costituente Popolare.
«La Costituente Popolare ha senso nella misura in cui si partecipa con modestia facendo proposte basate sulla rappresentanza, senza la presunzione di possesso di una nobiltà che si trasmette per dinastia. Noi dobbiamo aggregare quell’area moderata in cui alcune forze stanno annacquando principi per noi importanti come il sostegno alle fasce deboli e la famiglia. Penso a Forza Italia sulle unioni gay».
Veniamo proprio a Forza Italia. Non è un mistero che da parte del Nuovo Centrodestra campano ci sia insofferenza per le parole di Berlusconi e l’indecisione di Caldoro nel fare chiarezza sulle alleanze. Ma circolano pure voci di un accordo, sulla scia di quello romano, con il PD. C’è un doppio binario di “trattativa”?
«Caldoro resta il garante dell’alleanza, se abbandona la sua funzione di amalgama e prevale dentro Forza Italia la linea del NO ad accordi a livello regionale con Ncd, noi stiamo con chi ci sta. Del resto Renzi sta recependo alcune rivendicazioni del nostro segretario Alfano, ad esempio sull’art. 18 o su Mare Nostrum».
A proposito di Renzi, la legge di stabilità ha riacceso la polemica sugli sprechi delle Regioni che negli ultimi anni sono state al centro di un fuoco incrociato mediatico-giudiziario. Caldoro ha più volte suggerito provocatoriamente una loro abolizione. Qual è la sua posizione su questo tema?
«Va precisato che Caldoro ha parlato di macroregioni o di aree vaste che possono meglio rappresentare le esigenze dei territori. Non ha senso avere tante piccole Regioni quando i problemi sono comuni. Questo però significherebbe ripensare nuovamente le Province che Renzi, per un fatto più che altro mediatico, ha riformato abolendo i Consigli come se fossero quelli la fonte di spesa. Servirebbe un ridisegno territoriale totale con 3-4 macroregioni che rispetto all’Europa facciano da interlocutori di peso, soprattutto sull’uso dei fondi Ue per lo sviluppo di aree e non di singoli territori».
Ha citato i fondi europei: cosa risponde a chi considera l’accelerazione della spesa un’operazione elettorale tardiva che finirà per mettere una seria ipoteca sulla futura programmazione?
«Se non fai, la critica è che non vengono spesi; se fai, criticano ugualmente. Io non sono totalmente d’accordo su alcuni provvedimenti, ma penso che sia buono smuovere l’economia locale e riattivarla e in tal senso sono più utili tanti piccoli progetti di cui ogni Comune ha bisogno, che grandi progetti ma realizzati su uno spazio limitato della regione».