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Il problema non è il Papa, né il Papato

Da tempo non smetto di pensare a questa questione. Più di una volta ho detto che il problema non è il papa, ma il papato. Adesso, dopo essere stato alcuni giorni a Roma, mi sono reso conto che siamo di fronte ad un problema molto più grave. Un problema che – a mio modesto parere – non immagina moltissima gente. Lo dico subito. E lo dico chiaramente. Il problema non è il papa né il papato. Il problema è la religione che il papa ed il papato rappresentano.

È vero che l’attuale papa, Francesco, è in questo momento uno degli uomini più importanti del mondo. È anche certo che questo papa ha avuto (ed ha) tanta risonanza in ampi settori dell’opinione pubblica mondiale, perché la gente percepisce in lui una vicinanza, un’umanità ed una bontà che non è frequente trovare negli uomini importanti che governano questo mondo. È così. E nessuno lo può mettere in dubbio.

Tuttavia è proprio quest’aspetto così chiaro quello che ci mette di fronte al problema di fondo. Perché è evidente la preoccupazione di papa Francesco per coloro che soffrono nel mondo. Ma ugualmente evidente a questa preoccupazione benevola del papa, è anche chiara la fedeltà religiosa del papa all’istituzione che rappresenta, la Chiesa Cattolica Romana, retta e controllata dalla Curia Vaticana.

Papa Francesco vuole, senza dubbio alcuno, essere vicino a quelli che soffrono. Ma vuole essere vicino a loro a partire dalla lontananza che rappresenta per loro la grandezza, la solennità, l’enigma della Città del Vaticano, la città sacra, la città per eccellenza della religione. La religione che seduce tanta gente. Ma che al tempo stesso è generalmente accettata come un sistema di incarichi, che implica dipendenza, sottomissione e subordinazione a superiori invisibili.

Papa Francesco sa queste cose. E soffre per queste cose. Perché nella sua carne sopporta la contraddizione che porta in se stessa il ruolo che occupa. La contraddizione che implica il ricevere i poveri nella piazza san Pietro e di seguito il ricevere coloro che li opprimono nel palazzo papale. Ciò che, in ultima istanza, equivale a potenziare la stabilità del sistema stabilito. La stabilità che trova la sua garanzia ultima nell’autorità invisibile del potere più alto. Ed è evidente che per molti cittadini del mondo il papa è il rappresentante visibile di questo potere invisibile.

Può un papa, questo papa, dare una svolta così radicale e così forte al papato che non solo modifichi il governo della Chiesa, ma soprattutto al punto che il mondo intero possa vedere la coerenza e l’armonia tra quello che il papa dice e quello che fa? Ammettiamo che questo non è alla portata di un solo uomo. Soprattutto se sappiamo che quest’uomo – il gesuita Jorge Mario Bergoglio – sta avendo resistenze molto forti dentro la propria casa. Per questo non smetto di chiedermi: sarà possibile sgomberare dal Vaticano gli interminabili e meticolosi rituali, che legittimano e giustificano tante cariche, tante ambizioni, tanti posti di potere, occupati (non poche volte) da persone mediocri, e mettere al loro posto il Vangelo di Gesù, che è come mettere nel centro stesso della Chiesa la bontà di Gesù come sistema di governo?

So che tutto ciò è un’utopia. Ma non è stata anche un’utopia il Sermone del Monte (Mt 5-7), il giudizio finale annunciato dal vangelo di Matteo (Mt 25), la vita intera di Gesù? Certo. Quella è stata una sorprendente utopia. E tuttavia è quell’utopia quella che (in ogni caso) guida i passi di papa Francesco, in questo momento così drammatico e decisivo per il futuro della Chiesa. E forse del mondo.

 

 

Articolo pubblicato sul Blog dell’Autore nel sito www.periodistadigital.com il 9.6.2014

Traduzione di Lorenzo Tommaselli

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