Difficile derubricare la conquista, da parte del partito dei 5stelle, e di una sua pur se ambiziosa variante come a Napoli, dei sindaci di Roma, Torino e Napoli, a mero voto amministrativo. Un voto che richiama alla memoria il 1975, quando queste tre citta’ andarono alla principale forza di opposizione, che allora era il PCI. Un risultato che li intrecciava robusti fattori territoriali ( il dopo colera a Napoli, la forza operaia a Torino, la spinta di ceti democratici intermedi a Roma) e l’onda lunga sedimentata dal ciclo di lotte e di rinnovamento del ’68 – ’69 e dei primi anni settanta. Oggi nelle tre citta’ in questione oltre ai nodi locali pesa il lungo ciclo di crisi sociale, lo smembramento definitivo di quel blocco di forze che aveva in qualche modo resistito all’esaurirsi del ciclo industriale, la radicalizzazione incattivita ( e a tratti anche impaurita da fenomeni nuovi come i migranti) del ceto medio impoverito e da fasce sociali, soprattutto giovanili, che si avvertono escluse e destinate alla precarieta’ e alla disoccupazione. Il partito fondato da Casaleggio e Grillo ha saputo per forma, modalita’, temi agitati, anche profilo dei candidati, offrire una proposta in grado di essere appetibile ad un elettorato trasversale, post fordista, che ne fa- nelle elezioni a doppio turno- un contendente allo stato pressoche’ imbattibile. Dopo quel risultato nel ’75 si pose il nodo se quella opposizione che diventava governo avesse i titoli democratici per governare il Paese e si esercito’ la tessitura di Aldo Moro per allargare le basi stesse del sistema innovandolo. Allora la Dc aveva ancora la forza per porre questo tema e il PCI l’autorevolezza di un soggetto unitario capace di interlocuzione. Sappiamo come ando’, fino alla tragica fine di Aldo Moro. C’e’ da chiedersi se le due aree storiche dell’ultimo ventennio abbiano oggi l’autorevolezza necessaria per porsi lo stesso obiettivo rispetto ai cinque stelle e – soprattutto- se questi ultimi, ancora aree composite e in formazione – abbiano il profilo di un interlocutore in grado, governando le citta’, di aprire un confronto. Ovviamente dal voto esce molto indebolito il tentativo di Renzi, la sua narrazione del Paese e il suo tentativo di rinnovamento temperato anche se le minoranze a sinistra – a questo punto esterne o interne al Pd poco conta – non sembrano in grado di trarre troppo vantaggio dalla situazione complicata che adesso si apre. Chi si sente a sinistra ora e’ chiamato ad assumere la responsabilita’ di ridefinire se stesso e un proprio profilo. Fasce di elettori migrano verso la novita’ grillina ma, se a passare armi e bagagli da quelle parti fossero anche figure politiche sarebbe una triste variante dello storico trasformismo italiano. Forse chi a sinistra ha saputo, pur nelle difficolta’, mantenere una propria dignita’ ( una parte di chi e’stato col tentativo di Bassolino a Napoli, quelli che si sono raccolti intorno a Pisapia a Milano e poco altro ) se non pretendera’ di andare allo scontro finale con Renzi( senza il quale si rinuncerebbe in partenza a competere col partito di Grillo) potrebbe rappresentare quel grumo di forze e culture da cui un nuovo centro sinistra puo’ provare a ripartire. Al centro destra – infine – tocca un compito, nel suo campo, analogo. Lo sconfitto Parisi, come a suo tempo Finì a Roma contro Rutelli, avanza sul campo la candidatura a una nuova leadership di quell’area ormai piu’ che matura, visto anche il fallimento di Salvini. Un’area, quella del centro destra, le cui possibilita’ di riorganizzazione non vanno sottovalutate. Anche perche’ potranno incidere molto sullo stesso futuro del movimento cinque stelle, Un conto e’ se potra’ continuare a fare razzie in quell’elettorato allo sbando un altro se un centro destra che si riorganizza riporta a casa i suoi voti oggi in liberta’, voti ostili alla sinistra , in ogni sua possibile variante, e sensibili invece al profilo antistatuale e vagamente socialreazionario dei movimenti oggi vincenti.