In Europa, l’Italia è primo produttore di riso per quantità e varietà, assicurando oltre il 50% della produzione del continente, grazie ai 228mila ettari di risaie presenti sul territorio nazionale – metà dei quali in Piemonte – e alle oltre 4mila aziende che lo coltivano, facendo della qualità un valore di riferimento per salvaguardare il prodotto made in Italy dalla concorrenza agguerrita e a basso costo del riso extracomunitario. Ma il percorso di emancipazione e valorizzazione del comparto (tutelato dal 1931 dall’Ente Nazionale Risi non è stato scontato, proprio a fronte di produzioni di scarsa qualità molto competitive sui mercati internazionali, come quelle provenienti da Cambogia e Birmania, spesso caratterizzate da largo impiego di concimi e insetticidi in risaia. L’ultimo traguardo raggiunto, frutto di pazienti negoziati diplomatici, ha però un forte valore simbolico, oltre che grandi potenzialità commerciali, perché per la prima volta permette al riso italiano di arrivare in Cina.
Il via libera alle importazioni delle nostre varietà da risotto è confermato – a seguito del protocollo già siglato nell’aprile 2020 – dalle Autorità competenti di Pechino e apre le porte di un mercato potenziale di decine di milioni di consumatori, nel Paese che del riso ha fatto il simbolo della sua cultura rurale e gastronomica, pilastro della dieta quotidiana, e chiaramente ne è più importante produttore al mondo (ma è l’India il maggior esportatore; peraltro la Fao ha di recente confermato un aumento della produzione mondiale di riso pari al 2,1% nel 2020, specie per l’espansione delle risaie asiatiche). Per ottenere l’autorizzazione, è stato necessario superare controlli molto severi condotti dalle agenzie fitosanitarie cinesi nel corso degli ultimi anni, direttamente a confronto con le aziende italiane interessate che hanno ricevuto a più riprese delegazioni inviate per verificarne i metodi di produzione e accordare il consenso alle importazioni in Cina.
Attualmente, il 60% della produzione di riso italiano – pari a un milione di tonnellate di prodotto lavorato – è destinato all’export, principalmente alla volta di Germania e Inghilterra. Ma l’accesso al mercato cinese prefigura nuove opportunità, oltre a rappresentare un successo di squadra, “che ha visto le istituzioni e la filiera risicola nazionale unite in difesa del riso italiano”, sottolinea Dino Scanavino, presidente di Cia-Agricoltori Italiani. Sono più di duecento le varietà coltivate in Italia, dal Carnaroli al Roma, passando dal Baldo all’Arborio, al Vialone Nano e al Sant’Andrea, solo per citare quelle più note e utilizzate in cucina. Ora la strategia della aziende tricolore per conquistare i consumatori cinesi sarà proprio quella di puntare sulle varietà più pregiate, da proporre alle fasce di mercato più inclini al fascino del made in Italy, e per questo disposte a spendere di più. In tutto sono 17 le aziende dell’Italia centro settentrionale (tra Vercelli, Novara, Alessandria, Pavia, Verona, ma anche Modena, Mantova e Ferrara) che ora potranno esportare in Cina il loro prodotto, puntando a raggiungere complessivamente le 150mila tonnellate l’anno da indirizzare a Pechino. I controlli, dunque, hanno confermato la qualità del lavoro di tutte le riserie italiane che avevano fatto richiesta di esportazione in Cina.
“La storica iniziativa intrapresa da Airi, volta ad aprire il mercato cinese alle esportazioni di riso italiano è oggi giunta ad una importante svolta”, recita una nota dell’Associazione delle industrie risiere, presieduta da Mario Francese. E gli fa eco il presidente dell’Ente Risi Paolo Carrà, secondo cui il mercato cinese sta registrando un notevole interesse verso il made in Italy. Tra l’altro, è notizia degli ultimi giorni, le esportazioni agroalimentari italiane, in Cina, fanno registrare un +130% nel confronto tra febbraio 2020 e febbraio 2021, anche grazie all’uscita del Paese asiatico dalla pandemia.
Gambero Rosso