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IL RITO, LA MEMORIA E LE 4 GIORNATE

Nella storia di un paese vi sono momenti topici che segnano una svolta.
Le 4 Giornate di Napoli ne sono un esempio. E’ il primo episodio di contrasto armato contro i nazisti di una città europea  (L’eroica resistenza del Ghetto di Varsavia aveva connotazioni diverse).
Fu una rivolta che,partita spontaneamente, si organizzò rapidamente. I napoletani non solo cacciarono i tedeschi con le armi in pugno ma fecero una cosa meravigliosa: Governarono la città autonomamente fino all’arrivo degli alleati garantendo l’ordine ed evitando il saccheggio di edifici pubblici e depositi alimentari con le armi in pugno, seguendo le disposizioni del comando militare che gli antifascisti ,usciti dall’ombra, organizzarono. Furono fermati e consegnati agli alleati i profittatori, sfruttando il caos, volevano trarne profit
Questa ricorrenza dovrebbe essere sempre celebrata con orgoglio. Qui viene il bello. A questo punto si alza l’intellettuale, blasè, schifato della normalità, che dice: “Basta con questa ritualità! Ma insomma non vi siete annoiati di dire ogni anno le stesse cose?” Ebbene no, non ci siamo annoiati anche perché il tempo allontana gli avvenimenti ma non ne cambia natura ed importanza. Nel pregiudizio comune l’aggettivo “rituale” ha in sé una connotazione negativa, la fastidiosa ripetizione di cose risapute. Non è così. Il rito, e gli antropologi lo sanno bene, riconferma la memoria di un popolo e la tramanda . La chiesa cattolica ha una storia bi millenaria  proprio perché è stata sempre molto attenta al rito. C’è anche un rito civile che ha la sua dignità .La memoria della nostra riscossa popolare è uno di questi riti che vanno rinnovati ogni anno di modo che le nuove generazioni sappiano il sangue e le lacrime che sono state il prezzo della loro libertà e proseguano con maggiore convinzione su quel cammino.

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