Qualche postilla ai lavori in corso in Vaticano sul Sinodo che affronta le risposte alle sfide poste dall’evangelizzazione della famiglia o meglio delle famiglie, un esperienza che ci appartiene, secondo informazioni raccolte da giornali, siti web e TV. Circoscriviamo questi pensieri in libertà ad aspetti impliciti o espliciti di questo evento della vita della chiesa, ma che tocca un’esperienza umana fondamentale ed intima non puramente individuale. Ci auguriamo che lo spirito di papa Francesco trovi accoglienza tra i signori cardinali e tutti gli altri partecipanti in un confronto ed in una franca discussione. Il primo dato evidente da trasmissioni televisive e foto su giornali e riviste riguarda i partecipanti al Sinodo che per sua natura raccoglie cardinali e vescovi della chiesa cattolica nel mondo ed alcune coppie ed esperti convocati in riferimento al tema trattato. Abbiamo visto nei banchi dell’aula sinodale schiere di prelati con lo zucchetto cardinalizio o vescovile, che presentano una caratura non solo fisica ma umana di esperienze di governo della chiesa e di attività pastorale che interloquiscono sui problemi posti dalle varie situazioni familiari.
La mia formazione sociologica mi ha suggerito alcune riflessioni non usuali – forse impertinenti ma non tanto: la grande maggioranza dei partecipanti è costituita da pastori della chiesa e rappresentanti di curia chiamati a dare tramite il papa nel documento finale orientamenti e decisioni che riguardano atteggiamenti e comportamenti da adottare dai pastori ma non solo nei confronti delle variegate situazioni familiari che afferiscono da appartenenti alla chiesa. Si evidenzia così nel campo religioso quella che è stata chiamata “la divisione del lavoro religioso” tra gli afferenti a questo campo, tra coloro che sono depositari del “sapere religioso” e coloro che ne sono privi ed a cui questo sapere viene trasmesso, il popolo di Dio che non sempre ha voce o la tira fuori per vari motivi. E’ noto che il Sinodo è stato preceduto da un questionario di domande sulle tematiche del Sinodo inviato alle varie comunità cattoliche del mondo, per contribuire a raccogliere le risposte delle varie chiese.
Inoltre, mi ha sollecitato tra le teorie per spiegare la devianza quella detta dell’ “etichettamento”, secondo la quale per capire la devianza è necessario tener conto non solo della violazione, ma anche della creazione ed applicazione delle norme da parte delle istituzioni di controllo sociale, per cui la devianza è il prodotto dell’interazione tra coloro che creano e fanno applicare le norme e coloro che le infrangono, che sono così “etichettati”. Ne deriva che i maschi definiscono le regole per le femmine, i bianchi per i neri e si potrebbe dire per quello che vale dai “non sposati per gli sposati”. Un elemento non sociologico, ma teologico-sacramentale invita poi a ricordare che i ministri del matrimonio sono gli stessi sposi con la loro esperienza di vita di successi e fallimenti.
In secondo luogo, da parte dei media tra le attese nei confronti del Sinodo sono richiamati alcuni temi che, a nostro avviso, riguardano soprattutto le società occidentali o nord-atlantiche avanzate: l’accesso ai sacramenti da parte di divorziati risposati, rapporti prematrimoniali, contraccezione ed aborto, benedizione delle coppie gay. L’aspettativa è che si affermi in campo pastorale ma non solo la strategia dell’inclusione rispetto a quella dell’esclusione, secondo sapienza e misericordia per le varie situazioni. Non essendo abilitato a dare norme e regole, nel contesto di questa discussione voglio riportare un episodio di un incontro a Scampia con una signora su una panchina in attesa del bus. L’avevo incontrata diverse volte scambiando qualche parola, una volta mi racconta di essere stata abbandonata dal marito per una sua amica abitante nello stesso condominio e manifestava grande tristezza. Domanda: in presenza delle giuste disposizioni, chi ammettere al sacramento?
In generale, non si tratta tanto o solo di un rinnovamento della morale sessuale e familiare per andare incontro alle sfide della contemporaneità, come postula Vito Mancuso, perché disattesa anche da gran parte dei cattolici praticanti. A nostro avviso, la sfida da parte della chiesa riguarda piuttosto il riconoscimento della sessualità, del suo senso e valore, delle sue gioie e dolori, dell’apertura al divino negli incontri d’amore. Cioè la centralità dell’Amore in tutte le sue dimensioni da vivere con alti e bassi nella donazione reciproca nelle varie forme di famiglia o coppie, di cui in generale se ne parla poco forse per pudore. Rimane tuttora problematico l’accettazione ed il riconoscimento della donna sposata o meno nella vita della Chiesa, esemplificato dalla chiusura persistente nei confronti del sacerdozio femminile. I rappresentanti della chiesa celibatari hanno forse paura nei confronti delle donne, come insinuava una mia amica accompagnandomi in macchina a casa, facendosi portavoce di sensibilità diffuse che non hanno ascolto?
Forse non bastano i lavori di un Sinodo per quanto illuminati e misericordiosi.