Cultura

IL TEATRO NAPOLETANO : DA I FRATELLI DE FILIPPO FINO A VINCENZO SALEMME

Il teatro napoletano è una delle più antiche tradizioni artistiche della città di Napoli. Le prime tracce del teatro napoletano risalgono all’opera poetica di Jacopo Sannazaro e Pietro Antonio Caracciolo tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, ai tempi della corte aragonese. Jacopo Sannazaro a Castel Capuano, infatti, alla presenza di Alfonso d’Aragona, celebrò le vittorie degli spagnoli e la presa di Granada in un’opera dal titolo “Arcadia” che evocava le gesta eroiche del condottiero spagnolo. Qualche anno dopo, invece il Caracciolo presentò due opere dal titolo “La farsa de lo cito” e “Imagico”, che ripudiavano il linguaggio merlettato e attingevano dal popolo sia la trama che la dialettica. I due poeti, anche attori e registi, ebbero il merito di diffondere la cultura teatrale tra i ceti minori della popolazione.

Il teatro napoletano pre-Novecento fu sostanzialmente legato alla maschera di Pulcinella. Il personaggio nacque verso la fine del Cinquecento dall’attore Silvio Fiorillo, e portato in scena ad inizio Seicento dall’attore Andrea Calcese. Pulcinella è un personaggio che rappresenta da sempre il modo tutto napoletano di vedere il mondo, di umile rango sociale che, grazie alla sua furbizia e alla sua arte di destreggiarsi in qualsiasi situazione, riesce in qualche modo ad averla sempre vinta. Importante, per il teatro napoletano, è il modo in cui il personaggio è “rielaborato” a partire dall’Ottocento. L’ultimo, e forse il più grande interprete di Pulcinella, fu infatti Antonio Petito (1822-1876), che lo trasformò da servo sciocco nel cittadino napoletano per antonomasia, furbo e burlesco, modernizzandolo e permettendone così la sua trasformazione ad opera di Eduardo Scarpetta .Le altre maschere del teatro napoletano furono Tartaglia, rappresentata la prima volta verso la metà del Seicento dall’attore Carlo Merlino  e nel Novecento da Pasquale Esposito e, Scaramuccia, portato in scena dall’attore Tiberio Fiorilli.                                                                               Figure fondamentali per il teatro napoletano , ma anche per quello italiano , furono i tre fratelli De Filippo (Eduardo De Filippo , Peppino De Filippo e Titina De Filippo), che  iniziarono giovanissimi a calcare le scene (Eduardo a solo 4 anni ). In particolare , l’impiego di De Filippo fu quello di attingere dall’ambiente popolare napoletano un vasto repertorio di situazioni narrative e di personaggi e, in particolare, di cogliere, nella semplicità e nella ripetitività quotidiana, quelle misteriose coincidenze del destino e quelle sfumature psicologiche che conferiscono ai suoi personaggi un’identità precisa, sciogliendoli da ogni farsa caricaturale. La scoperta della sofferenza e del dolore, in quanto esperienze comuni a tutti gli uomini, dona ai personaggi di De Filippo, per quanto umili, semplici e ingenui, una dimensione cosmica, ben al di là della scena napoletana, riscoprendo valori universali, quali la dignità, la tolleranza, la comprensione, la solidarietà.  De Filippo seppe rendere tutta la complessità umana nella sceneggiatura drammatica, nella regia delle sue commedie, spesso sobria ed essenziale, nella sua recitazione intimista, fatta di gesti pregnanti e misurati, di sfaccettature espressive, pause e intensi silenzi, smorzando ogni eccesso, diluendo ogni situazione tragica in una malinconica bizzarria, in amara saggezza. Il suo primo lavoro teatrale fu Sik Sik l’artefice magico, atto unico del 1930, cui seguì nel 1931 Natale in casa Cupiello e altri atti unici.  Alla realizzazione di queste opere collaborarono spesso anche i fratelli Peppino e Titina, che insieme a Eduardo, diedero origine alla compagnia I De Filippo.  Quando, nel 1945, Peppino lasciò la compagnia, Eduardo continuò la sua attività, raggiungendo i massimi risultati nella sua arte, costituendo I’esempio  principale di teatro neorealista italiano, per cui ottenne anche numerosi riconoscimenti all’estero; a questo periodo appartengono Napoli milionaria (1945), presentato poi anche a Spoleto nel 1977, Questi fantasmi e Filumena Marturano (entrambi del 1946), Le bugie con le gambe lunghe e Le voci di dentro (1948), La grande magia (1949), La paura numero uno (1950) e Mia famiglia (1953). Ottenne infine, riconoscimenti anche all’estero: nel 1955 presentò al Festival des Nations di Parigi Questi fantasmi e nel 1963 fu in tournée in Unione Sovietica e in altri Paesi dell’Est europeo.                                                                                                                                                                                     Altra figura cardine del teatro napoletano , è sicuramente quella legata a Totò.  La personalità di Antonio de Curtis, in arte Totò, s’impone al cinema ma raccoglie i suoi primi successi sulle scene di teatri periferici e dei quartieri poveri, facendo il verso al grande macchiettista napoletano: Gustavo De Marco. Totò era una “maschera buffa” nel senso letterario della “commedia dell’arte”, un’autentica maschera (come Pulcinella e Arlecchino) ci apparve sempre più malinconicamente grottesca. Era la maschera di un piccolo “gigante”: il più comico e il più napoletano, universalmente comico perché spesso, per suscitare le risate, non aveva bisogno di ricorrere a lazzi o alle battute scherzose: in teatro ad esempio, bastava che apparisse in scena, senza pronunciare motto, e giù gli spettatori a ridere.  Gli era sufficiente una smorfia, un gesto, un semplice ammiccamento. E poteva fare a meno del copione: un canovaccio di poche parole, a al resto ci pensava lui, improvvisando mimica e dialogo, prolungando un breve sketch anche di quindici o venti minuti, specie se avvertiva, immediato, il calore del pubblico. Invece sul set quel calore gli mancava, e un po’ ne soffriva, ma suppliva ad esso con un eccezionale mestiere. Perciò Totò, autentico gigante della comicità, il meglio di sé lo dette forse alla ribalta, superando se stesso come eccezionale caricaturista, come super-marionetta vivente dai muscoli tira-e-molla, e dalle articolazioni snodabili, anche se bisogna dire queste ultime erano caratteristiche del de Marco. Memorabile fu il suo ritorno sulla scena, quasi sessantenne e quasi cieco, quando apparve in una rivista “A prescindere”, l’ultima sua passerella da gran finale, elettrizzò gli spettatori in un’esplosione pirotecnica, sembrava che davvero i fuochi d’artificio che riproduceva, attraverso una mimica inimitabile, si moltiplicassero attorno a lui. E così esaltava il pubblico dopo aver inventato almeno dieci modi diversi, tutti scoppiettanti, di fare passerella, di prolungarla oltremodo, a volte anche per quindici minuti. Totò si allineò col sul teatro non disdegnando però un certo ritorno al burlesco di stampo pulcinellesco.                                                                                                                                                                                                                     Altro personaggio fondamentale per l’affermazione del teatro napoletano , fu sicuramente Massimo Troisi .  Egli riuscì a sovvertire un luogo comune, dando una forma di teatralità al cabaret, che fino al quel momento era improntato solo su barzellette e aneddoti. Infatti con la sua mimica facciale, quel suo parlare sempre in dialetto e talvolta imbranato, ne fecero un’altra maschera del grande repertorio del teatro napoletano, un Pulcinella moderno, senza costume e maschera. L’ultimo commediante, a pari dei grandi del passato, certo non aveva forse la frenesia di Totò né le nascoste profondità amare di Eduardo, pur riecheggiandone in parte certe doti espressive, ma appunto era se stesso, unico, e la scomparsa prematura (41 anni) gli ha impedito certamente di dare ancora tutto il meglio di sé. La sua comicità indagatrice dell’animo umano e dello spirito di Napoli, così legata alla tradizione partenopea eppure così innovativa, in linea con quella rivoluzione che era stata portata avanti negli anni Ottanta in musica da Pino Daniele, era capace di parlare ad ogni interlocutore. Questa capacità di parlare la lingua universale dell’arte, che è effettivamente la dote dei grandi talenti, gli permetteva anche di realizzare un’altra operazione artistica e culturale, appannaggio esclusivo veramente dei grandissimi della cultura napoletana: esprimersi solo e soltanto con la lingua napoletana, eppure parlare a tutta l’Italia, e non solo. In questo modo, Massimo riaffermava sia l’universalità di quella concezione dell’arte di cui si faceva portatore, ma anche l’universalità della sua koinè: uno slang “urban partenopeo”, capace di mischiare la lingua colta con la “parlesia” dei musicisti; una neolingua così diversa dal canone classico eternato dai grandi del teatro napoletano, eppure capace di parlare a tutti, proprio come i grandi classici di Napoli.                                                                                              Tra i personaggi della nuova generazione che hanno portato avanti l’affermazione del teatro napoletano ricordiamo sicuramente Alessandro Siani , Carlo Buccirosso  e Vincenzo Salemme .   Siani ha iniziato la sua carriera all’interno del laboratorio “Tunnel Cabaret”, storico locale sito a Napoli nei pressi del monastero di Santa Chiara. Benché giovanissimo, nel 1995 vince il “Premio Charlot” come migliore cabarettista dell’anno. È stato, inoltre, il vincitore di alcuni premi nazionali, come “Franca Villa” e “Ascea Ridens” .  Nel 2014 debutta alla regia anche nel teatro con la commedia Benvenuti in casa Esposito, scritta con Paolo Caiazzo e Pino Imperatore e liberamente tratta dall’omonimo romanzo bestseller di Pino Imperatore, pubblicato da Giunti editore nel 2012. La commedia ottiene un grande successo di pubblico e va in scena in vari teatri italiani anche nel 2015 e nel 2016. Dopo il successo con Il principe abusivo, nel maggio 2014 Siani inizia sulla Costiera Amalfitana le riprese del suo secondo film alla regia, dal titolo Si accettano miracoli. Nel cast, oltre all’attore napoletano, troviamo anche Fabio De Luigi, Serena Autieri. Carlo Buccirosso è  spesso presente nei film e sceneggiati di Carlo Vanzina, nel ruolo stereotipato dell’uomo napoletano medio o piccolo-borghese, e per diversi anni è stato coprotagonista con Vincenzo Salemme in diversi spettacoli e film, sia a teatro che al cinema, unitamente a Maurizio Casagrande, Nando Paone e Biagio Izzo. Tra questi, “…e fuori nevica!” , “L’amico del cuore”  e” Premiata pasticceria Bellavista”. Infine ,Vincenzo Salemme l’ultimo grande esponente dell’arte della commedia, che vede nella lingua e nell’ambientazione napoletana la maniera migliore per esprimersi. Salemme, comico e attore sensibile e intelligente, viene da una tradizione precisa, quella di Eduardo e sa come si fanno le commedie, sa qual è il valore dei tempi, delle battute, dei passaggi di consegna. Il suo teatro, come il suo cinema, non è “vintage” ma è la ripetizione felice e creativa di un modello di commedia che ha illustri precedenti. Gli elementi del successo di Salemme e del suo cinema, sono proprio questi, unire la popolarità alla qualità, cosa assolutamente inusuale nell’abulico cinema dei giorni nostri. Salemme nelle sue opere teatrali e cinematografiche ha sempre raccontato una Napoli lontana dai soliti cliché a cui siamo abituati, ha raccontato e racconta la vita delle piccole famiglie borghesi campane e il loro vivere tra tradizione e il veloce cambiamento. Il suo è un cinema che gioca con i cliché che immobilizzano la città e la cultura napoletana, trasformarli, banalizzarli, per renderli più sopportabili a tutti quelli che li vivono. Ironia sottile, curata, un mix vincente, che al botteghino sicuramente porta sempre risultati e risate, ma anche possibilità di riflettere sulla situazione sociale della città partenopea, che viene descritta come una città accogliente e normale, e in cui vengono evidenziate le sue meraviglie paesaggistiche, culturali e gastronomiche, sintomo di un amore viscerale per la sua gente, e dal quale ne è ricambiato.

Tutti questi artisti sono alla base del teatro napoletano , che è vera arte e che rispecchia pienamente le tradizioni della città partenopea.

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