Il tempio di Serapide o Serapeo assunse questo nome a seguito del ritrovamento di una statua del dio egizio Serapis, seduto in trono con il cane tricefalo Cerbero, affiorata durante durante una campagna di scavi voluta da re Carlo di Borbone tra il 1750 ed il 1756. Fino ad allora il sito, caratterizzato da tre antiche colonne in marmo cipollino, era denominato dai rari viaggiatori stranieri in cerca di segni di un glorioso passato come “vigna delle tre colonne”.
In realtà l’edificio sin dal 1907, dopo circa un secolo di scavi era stato identificato come un macellum, cioè un mercato, uno dei più grandi dell’epoca romana. Si scoprì trattarsi del più importante edificio dell’Emporium, edificato tra il I ed il II secolo d.C. e ristrutturato poi in età severiana nel III secolo.
Racchiuso in un’area quadrilatera, vicino al mare e costeggiato da due importanti strade , la struttura si sviluppava su due livelli porticati. Vi si accedeva attraverso un monumentale vestibolo e subito lo sguardo era attirato dal grande tholos centrale, una costruzione circolare eretta su un podio, circondato da 16 colonne di marmo africano, con le basi decorate a motivi marini, che oggi non si trovano più in loco, perché i Borbone decisero di reimpiegarle nella Reggia di Caserta.
La costruzione si sviluppa intorno ad un grande cortile centrale a pianta quasi quadrata, circondato da un portico dal quale si accedeva alle botteghe – le tabernae -, formato da trentasei colonne di granito grigio sormontate da capitelli corinzi decorati da conchiglie contenenti piccoli delfini. Al centro della corte, pavimentata in marmo, la grande tholos (edicola a pianta circolare), con struttura muraria in opus latericium rivestita di lastre marmoree e dotata di una grande fontana ottagonale. In alcune nicche furono rinvenute due basi di statue con iscrizioni in onore di Alessandro Severo e di sua moglie Barbia Oriana, i gruppi di Oreste ed Elettra e di Dioniso con il Fauno, oltre alla statua di Serapide “.
L’insieme si presenta come un cortile a pianta quadrata circondato da un porticato sul quale si affacciano le botteghe che si aprono alternativamente ora verso l’interno ora verso l’esterno; due latrine pubbliche sono dislocate ai lati dell’abside di fondo, mentre resti di scale che conducevano al piano superiore del porticato si conservano ai lati dell’ingresso monumentale che si apriva verso il porto; infine, al centro del cortile vi è una costruzione circolare sopraelevata, circondata un tempo da colonne (coperta forse da una cupola o da un tetto conico, chiamata tholos), sul quale podio si poteva salire tramite quattro scalinate disposte a croce: presentando al centro resti di condutture per una fontana, si ipotizza che fosse destinato al mercato del pesce(fig. 5).
L’edificio è simile ad altri mercati di epoca romana che ancora si conservano in tutta l’area mediterranea (Pompei, Morgantina, ecc.), solo che questo di Pozzuoli è senz’altro il più monumentale e sfarzoso di tutti, uno dei più grandiosi ed integri, grazie anche alla sommersione bradisismica che nei secoli passati lo ha preservato da una più grande spoliazione dei suoi elementi architettonici. Le colonne rimaste in piedi ci fanno intuire che l’edificio doveva avere una notevole altezza.
La sua ubicazione presso il mare è pienamente giustificata dal carattere commerciale e marittimo della città. Inoltre, la presenza di una statua di Serapide al suo interno, fa ipotizzare che il Macellum di Pozzuoli potrebbe essere stato dedicato a divinità egizie. Per il duplice interesse che esso ha, archeologico e scientifico, è il monumento più singolare di tutta la regione flegrea(fig. 6), ed uno dei più noti di tutto il mondo antico.
Invaso e sommerso dalle acque termominerali che scaturiscono dal sottosuolo in prossimità del litorale (già utilizzate in epoca medievale a fini terapeutici, chiamate Balneum Cantarellus’), esso ha rappresentato per alcuni secoli l’indice metrico più prezioso e preciso che si aveva a disposizione per misurare il fenomeno del bradisismo. Tre delle quattro grandi colonne di marmo cipollino che ancora fronteggiano, diritte sulle loro basi, la sala absidata al centro della parete di fondo, servivano come strumento di misurazione del fenomeno; infatti lungo il loro fusto, i fori dei litodomi (molluschi foraminiferi che vivono a pelo d’acqua, chiamati popolarmente “datteri di mare”), indicano chiaramente il livello più alto a cui è giunta in passato l’acqua del mare (m. 6,50 ca.), a testimonianza della sua massima sommersione marina avvenuta in epoca medievale (X secolo) quando il monumento risultava sepolto nelle parti basse, mentre superiormente era parzialmente sommerso dalle acque marine. A séguito della seconda crisi bradisismica e dell’intensa attività sismica del 1983, attualmente esso risulta ad una quota superiore rispetto al livello del mare (dunque non è più sommerso e quindi non è più utilizzabile per la misurazione del bradisismo.