Cosa inquina di più, allevare mucche o guidare auto? Secondo i rapporti FAO degli ultmi dieci anni, il settore zootecnico produce più emissioni di gas terra dei comuni trasporti, spesso chiamati in causa (a torto) quali fattori inquinanti prevalenti. Esperti e scienziati internazionali sono concordi nel ritenere che la zootecnia sia tra i principali responsabili di alcuni dei problemi più importanti sull’impatto ambientale degli ultimi decenni. L’aumento del benessere nel mondo fa aumentare il consumo di carne, di latte e dei prodotti caseari in generale (oltre che di suolo), con un trend in continua crescita; da qui l’intensificazione degli allevamenti per soddisfare la crescente domanda.
Senza parlare del deuperamento delle già scarse risorse idriche del pianeta, dell’inquinamento dell’acqua, del fenomeno dell’eutrofizzazione dei mari (per l’eccessivo smaltimento di nitrati e fosfati), del rilascio di antibiotici ed ormoni, tutto a causa degli allevamenti intensivi, non solo bovini. Lo sfruttamento eccessivo dei pascoli su larga scala interferisce inoltre con il ciclo dell’acqua, riducendo il rifornimento delle falde sia di profondità che di superficie.
Insomma, il settore zootecnico è sempre più sul banco degli accusati per i costi ambientali che esso genera a livello globale, frutto anche degli stili di vita che stanno cambiando nei Paesi del terzo mondo che stanno passando da una dieta prettamente vegetale ad una ricca di proteine animali.
Da qui l’esigenza di cambiare completamente la prospettiva per la zootecnia e gli allevamenti del terzo millennio. Partendo dal settore della conoscenza e della competenza, cioè dal mondo della ricerca, dai luoghi cioè dove è possibile trovare soluzioni in grado di ridurre al minimo gli impatti negativi delle produzioni animali sull’ambiente.
Ci ha pensato, prima al mondo, l’Università degli Studi Federico II di Napoli che, attraverso il Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, ha inaugurato il primo corso di laurea magistrale in Zootecnia di Precisione, o meglio in “Precision Livestock Farming”, visto che le lezioni saranno in inglese.
L’obiettivo è quello di creare tecnici specialisti del settore zootecnico e delle produzioni animali a basso impatto ambientale, con un bagaglio di conoscenze che spaziano su diversi fronti, anche molto distinti tra loro, dall’ingegneria informatica, alla sensoristica, alla robotica, alle tecniche agronomiche di precisione, ma anche alle discipline di carattere ambientale, alla tutela della biodiversità, al benessere animale, fino all’organizzazione logistica degli allevamenti. Insomma un coacervo di insegnamenti per un corso di studi di grande innovazione anche per il sistema universitario, unico, originale, che precorre i tempi.
L’iniziativa è stata presentata giorni fa presso l’Azienda sperimentale Improsta della Regione Campania ad Eboli, che ospiterà il corso. Le lezioni avranno inzio a partire dal 14 ottobre prossimo, in forma residenziale, in quanto gli allievi (25 di cui 5 stranieri) saranno ospitati nella foresteria del centro aziendale, da poco ristrutturata.
Il rettore della Federico II, Gaetano Manfredi, intervenendo all’inaugurazione, ha parlato di scommessa vinta, elogiando innanzitutto i professori che hanno lavorato in questi anni affinchè questo ambizioso progetto si realizzasse: Giuseppe Campanile (promoter dell’iniziativa), Gaetano Oliva (direttore del Dipartimento di Veterinaria), Gianluca Neglia (coordinatore del corso), Matteo Lorito (direttore del Dipartimento di Agraria) e tutti gli altri collaboratori dell’Ateneo. Un ringraziamento alla Regione Campania -era presente all’incontro l’avv. Franco Alfieri ex-consigliere per l’agricoltura del presidente De Luca- che sin dall’inizio ha assunto un ruolo decisivo per il buon esito del progetto, mettendo a disposizione risorse e l’azienda sperimentale di Eboli, gestita dal CRAA, Centro per la Ricerca Applicata in Agricoltura.
Un’iniziativa di grande significato, un modo moderno ed intelligente per affrontare il tema sempre più attuale della zootecnia che inquina, ma anche una risposta del mondo accademico a come mitigare gli effetti del cambiamento climatico in agricoltura e di come ottimizzare la gestione delle aziende attraverso le moderne tecnologie digitali. Quello che oggi gli esperti chiamano “agricoltura sostenibile”, un concetto molto ampio e complesso, ma che il corso di laurea intende applicare per la produzione animale in modo innovativo e completo.
Occorre ora che ci sia una forte sinergia anche con il mondo delle imprese, com’è stata finora quella istituzionale; le aziende devono credere in questo sforzo che il mondo della ricerca e le istituzioni territoriali stanno compiendo, investendo sull’innovazione e avvalendosi anche dei futuri manager e consulenti che usciranno dal corso di laurea. Averlo voluto all’azienda Improsta, fiore all’occhiello della sperimentazione applicata in agricoltura della Campania, ad Eboli, nel cuore della Piana del Sele, in uno dei due poli della filiera bufalina dop, ha un significato strategico importante. Qui è immaginabile che possa sorgere un sito internazionale di sperimentazione ma anche un centro di confronto permanente con le imprese, di divulgazione scientifica, di alta formazione, che la vicinanza dell’aeroporto di Pontecagnano e dell’area ZES potranno sicuramente favorire.
Ma il corso di laurea è indirizzato soprattutto ai giovani, un’opportunità straordinaria soprattutto per i talenti campani e del Mezzogiorno tutto che hanno la possibilità finalmente di studiare materie nuove e accattivanti vicino ai territori di provenienza; una sfida anche per loro, un modo, anche per la politica, di fare scelte nella direzione giusta, come hanno sottolineato gli intervenuti al dibattito.
La speranza è quella che di non sprecare un’opportunità strategica per tutti gli attori in campo, un’idea creativa di pochi che potrà avere una ricaduta globale nel campo della ricerca e dell’alta formazione, a beneficio delle imprese del settore ma anche dei giovani, oggi sempre più orientati ad investire sulle discipline ambientali e digitali.