Mentre le commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato hanno approvato la risoluzione della maggioranza per la fornitura di armi al governo iracheno, in Iraq l’avanzata delle truppe dell’Isis, il gruppo fondamentalista ‘Stato Islamico’ nato da una cellula impazzita di Al-Qaeda e guidato dal califfo Abu Bakr al-Baghdadi, continua a seminare terrore. Lo fa attraverso la conquista di città e riserve di denaro e lingotti d’oro, lo fa con l’esecuzione del giornalista statunitense James Foley, con le minacce all’America di Barack Obama, con le uccisioni di massa delle minoranze religiose.
L’ennesimo conflitto scoppiato in quell’area del pianeta per motivi religiosi e alimentato dall’economia del petrolio ha però anche vittime che fanno meno rumore. Sono le donne dei villaggi saccheggiati e conquistati dai jihadisti, rapite violentate torturate e vendute come schiave del sesso agli emiri. Impossibile fare una stima numerica del fenomeno, ma per queste donne la guerra ha un volto ancora più disumano fatto di abusi che trasforma i loro corpi in campi di battaglia, come ha scritto il “The Guardian”. Risale a due giorni fa la telefonata raccolta da un reporter dell’agenzia curda Rudaw con la quale una ragazza Yazida di 24 anni avrebbe denunciato la situazione vissuta da circa 200 donne in una prigione nella regione di Mosul, dove si stanno concentrando gli scontri di queste settimane. In base al suo racconto i jihadisti visitano la prigione anche tre o quattro volte al giorno prelevando le donne, spesso le più giovani o attraenti, per abusarne o consegnarle ai loro superiori. Alcune di loro non ce la fanno a sopportare le violenze e gli stupri e preferiscono togliersi la vita: quando Mosul fu presa per la prima volta a fine giugno, ad esempio, quattro donne su 13 si suicidarono dopo le violenze subite. A inizio agosto invece una deputata di Bagdad, Vian Dakhil, anche lei yazida, aveva denunciato il rapimento di 500 donne nella città di Sinjar.
Quello della violenza sessuale sulle donne è una quelle armi da guerra più utilizzate e su cui diverse ONG, tra cui Women’s Media Center, hanno acceso i riflettori provando a creare un archivio di notizie utilizzabili come prova in un eventuale processo per crimini di guerra e organizzare servizi di assistenza psicologica e medica per le superstiti. Secondo l’analisi fatta in questi anni da WMC, gli stupri di guerra hanno motivazioni molto diverse: dalla pulizia etnica (ad esempio, provocando aborti) al terrore, dall’umiliazione del nemico al controllo di risorse e territori fino all’estorsione di informazioni. Questa pratica però trova terreno fertile soprattutto nelle società tendenzialmente misogine come l’area mediorientale. Qui, per quante sopravvivono, c’è persino l’umiliazione del silenzio e dell’ostracismo delle famiglie che, per vergogna o disonore, preferiscono coprire tutto piuttosto che denunciare.