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ITALIA : LA POTENZA DEL DENARO !

L’automazione, i computer, i robot quanto prima libereranno l’umanità dal fardello del lavoro ed anche il denaro, ad esso collegato, andrà in soffitta dopo millenni di baratti e secoli di moneta.

Sarà la più rivoluzionaria delle rivoluzioni alla quale non siamo assolutamente preparati, affezionati come siamo a quei  simpatici pezzi di carta, sporchi e stropicciati che sono i soldi. Li desideriamo ardentemente, li conserviamo come reliquie nel portafoglio, per averli facciamo qualsiasi cosa, anche lavorare come matti per tutta la vita, per averne di più siamo disposti a tradire un amico, a scavalcare un debole, ad ingannare un avversario.

Crediamo ciecamente che con il loro possesso si possa comperare tutto ciò che si desidera: oltre a vestiti, auto, cibo ed oggetti lussuosi anche il favore degli altri, l’onestà delle donne, la giustizia degli uomini, la coscienza del prossimo.

Se non ne abbiamo la gente ci guarda con insofferenza e con disprezzo, mentre se mostriamo di averne tanto tutti si dimostrano amici.

Dimentichiamo che il denaro non ci permette di acquistare né la salute, né l’amore, né la vera amicizia e neppure la serenità. Con il loro possesso ci procuriamo soltanto l’invidia della gente, l’unica cosa di cui faremmo volentieri a meno. Tutto ciò che abbiamo detto fino ad ora è molto bello ed istruttivo, non per niente è stato scritto dal sottoscritto tanto tempo fa ed ha costituito infinite volte il testo di lettere al direttore pubblicate dai principali quotidiani italiani. Però, posso assicuravi che il possesso del denaro vi fornisce una illusione di potenza o quanto meno una libertà di decisione sconosciuta a chi vive di stipendio. Per convincervi vi citerò 4-5 esempi che mi hanno interessato nel corso degli anni, premesso che l’entrata in vigore dell’euro mi ha trasformato da miliardario in semplice milionario. In ordine cronologico il primo episodio risale alla fine degli anni Settanta, quando, partecipai ad un bando per l’assegnazione di un posto di aiuto primario nel reparto di Maternità del vecchio ospedale di Pozzuoli e me lo aggiudicai grazie ad alcune mie pubblicazioni scientifiche, che, oltre alla specializzazione, furono giudicate positivamente dalla commissione esaminatrice.Il primo giorno di lavoro arrivai con 10 minuti di ritardo, per la difficoltà, essendo nuovo, a trovare un posto nei cortili per parcheggiare l’auto. Il primario sta facendo il giro tra le pazienti con il suo codazzo di aiuti ed assistenti, mi accoglie furibondo e mi ammonisce:”Che non capiti mai più questo ritardo inqualificabile, altrimenti mi arrabbio”. ” Non si preoccupi, non capiterà mai più, perché in questo momento mi dimetto”. Gettai a terra il camice e nell’uscire dal reparto sbattei  con veemenza la porta a vetri, che si frantumò in mille pezzi, alla pari della sovra porta, anche essa di vetro. Lasciai al custode sbalordito il mio biglietto da visita dichiarando:” Mandatemi il conto della riparazione a casa e porgete i miei saluti al primario”.

Il secondo ed il terzo episodio riguardano Ischia, da dove, nei mesi estivi, ogni mattina mi recavo, dalla mia villa a Forio  nel mio studio di via Manzoni a Napoli per ritornare a tarda sera, quando non pernottavo, cosa che capitava 2 volte alla  settimana. Correvo sempre sul filo di lana ed una mattina avevo tra le mie braccia Tiziana, la mia figlioletta che voleva salutare le mie zie.  Vi era una fila interminabile alla biglietteria ed io non potevo assolutamente perdere l’aliscafo, perché mi attendevano numerose pazienti ed un ritardo, anche di un’ora, avrebbe scombussolato la tabella di marcia dei miei appuntamenti giornalieri. Per cui mi avviai alla passerella dell’imbarco ed indicando un signore distinto e distante una ventina di metri affermai che lui aveva i biglietti per me e mia figlia. Appena entrato mi nascosi tra la folla e quando il signore sorpreso dichiarò di non conoscermi, il natante era oramai in procinto di partire. I marinai dopo una lunga ricerca mi scovarono e mi portarono nella stanza del comandante, il quale cominciò a redarguirmi impietosamente, fino a quando io, scocciato per la lunghezza della ramanzina gli buttai ai piedi 50.000 lire e lo minacciai: “Mi hai rotto gli zebedei, se continui mi comperò l’aliscafo e ti licenzio”.

Il secondo episodio ischitano riguarda un ritorno serale, quando io, terminato lo studio, mi recavo dalle mie zie, che abitavano ed abitano anche oggi a piano terra, consegnavo loro, senza contarlo, l’incasso della giornata cambiavo il mio pantalone di lavoro con dei più comodi calzoncini ed accompagnato in auto da uno dei miei assistenti, correvo a prendere l’ultimo aliscafo. Un giorno ero sul filo del rasoio e rischiavo di rimanere a Napoli, per cui mi avviai senza la tappa intermedia dalle mie antenate. Giunto ad Ischia Porto, poiché il mio autista era impegnato in un accompagnamento, mi avviai allo stazionamento delle motorette e mentre mi accingevo a salire su una di queste  fui bloccato dal conducente che, preoccupato per il mio abbigliamento che giudicava eccezionalmente casual, mi ammonì:”Lo sai che la corsa per Forio costa 20.000 lire?”. Io baldanzoso misi la mano nella tasca estrassi una cospicua manciata di soldi e chiesi perentorio: “Lo tieni il resto di 5 milioni?”. Al che l’autista, scambiandomi per un boss della camorra si inchinò ed implorò che mi accomodassi.

Altri episodi salienti della libertà di scelta che permette la ricchezza sono legati alla mia villa posillipina  acquistata nel 1980 e che da allora costituisce la mia sfarzosa dimora.

Più volte ho dovuto resistere a tentativi di fitto e di acquisto; il primo da parte del presidente del Napoli dell’epoca, che quando acquistò Maradona si era impegnato col pibe de oro a procurargli una villa dove abitare e mi offri 50 milioni al mese per l’utilizzo della mia per il periodo in cui il re del pallone avesse soggiornato in città. Ottenne un secco rifiuto e Diego dovette arrangiarsi in 6 camere in via Pacuvio con 100 metri scarsi di giardino.

Il secondo tentativo fu di acquisto e risale al 2009, prima della grande crisi, che ha fatto precipitare il prezzo degli immobili. Si fece avanti una delle donne più ricche e potenti della città, di cui non rivelo il nome per non procurarle noie col fisco, che mi offrì 7 milioni di euro in contanti ed eventualmente versati all’estero per avere l’onore di abitare la mia austera dimora. Anche lei ottenne un diniego e l’invito a fare un nuovo tentativo con i miei figli dopo la mia dipartita da questa valle di lacrime.

Il terzo episodio riguarda un quadro, uno dei più belli della mia collezione da me comperato nel corso dell’asta dei beni di Achille Lauro e che in precedenza apparteneva alla celebre raccolta Doria D’Angri, dalla quale il Comandante l’aveva acquistato nel 1940, quando, notificato dallo Stato, era attribuito a Bernardo Strozzi. All’epoca pagai 17 milioni e dovetti attendere 3 mesi, durante i quali lo Stato poteva esercitare il diritto di prelazione, periodo che il dipinto trascorse nel museo di Capodimonte, dove fu notato  dal professor Leone De Castris, che, dopo aver consultato il suo collega Bagnoli, massimo esperto della pittura senese, consigliò di variare l’attribuzione e la relativa notifica sul nome di Rutilio Manetti. Passarono due mesi e da me si presentò un emissario del presidente del Monte dei Paschi di Siena, che in quel periodo, antecedente alle prodezze della famiglia Renzi, era una delle banche più importanti di Italia e candidamente mi confidò che il maxi dirigente voleva a tutti i costi posizionare il dipinto dietro la sua scrivania, disposto, pur di esaudire il suo desiderio a sborsare 80 o anche 100 milioni, una cifra 5 volte superiore a quella da me pagata pochi mesi prima. Certo di concludere il funzionario rimase di stucco quando gli dissi che avrei regalato all’illustre presidente una gigantografia della tela, ma che per l’originale la posizione privilegiata era costituita da una parete del mio salone.

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