Ci credeva solo lui quando ha iniziato il lavoro che desiderava fare da una vita, quello del ct. Non perché non avesse voglia di lavorare ogni giorno, con tutte le tensioni che accumuli in un club, ma perché cercava di prendersi una rivincita con il passato. Considerava un fallimento la sua avventura azzurra da calciatore e sognava di lasciare un ricordo in panchina, se gli fosse stata concessa anche una sola possibilità. Roberto parlava dell’Italia già ai tempi dell’Inter, dopo tre scudetti consecutivi, e quando stava riportando il City in testa alla Premier partendo da zero. Era fissato, quando sussurrava che «un giorno allenerò la Nazionale». Un sogno, come quello ancora non esaudito di guidare la Juve, la squadra del cuore di suo papà e di un’infanzia quasi tutta bianconera.
Il 14 maggio del 2018, dopo la firma, Mancini ha illustrato subito la possibilità di ricostruire, con pazienza, una grande Nazionale. Pensarono quasi tutti che fosse matto, l’Italia aveva appena toccato il fondo con Tavecchio (presidente) e Ventura (allenatore) e non si vedeva una via d’uscita dal tunnel in cui la Figc si era infilata dopo l’addio di Antonio Conte. Il nuovo ct parlò degli Europei e dei Mondiali come obiettivi e non intendeva le semplici qualificazioni bensì della possibilità addirittura di vincerli, ovviamente tra lo scetticismo generale. Tre anni e mezzo dopo, l’Italia ha vinto a Wembley il primo titolo e ora ha messo nel mirino il secondo, Qatar 2022. Ma non solo: battendo la Bulgaria, Roberto Mancini ha conquistato un altro record. Anzi, lo ha migliorato: dopo 31 partite di imbattibilità aveva superato un mito come Pozzo; oggi, dopo 35 gare, ha agganciato la Spagna di Aragones e Del Bosque (2007- 2009) e il Brasile di Parreira e Zagallo (1993-1996), le uniche nazionali che prima dell’Italia erano riuscite a salire su un tetto così alto. Se domenica il ct di Jesi riuscisse a uscire imbattuto da Basilea, dove incontrerà una Svizzera completamente rinnovata, resterebbe da solo a quota 36 con la possibilità di arrivare subito a 37 affrontando la Lituania mercoledì prossimo. Record che fanno la storia, all’improvviso: nessuno si sarebbe mai aspettato una Nazionale del genere, con grandissime qualità tecniche e morali.
Partendo dal basso, come aveva fatto all’Inter e al Manchester City, Mancini ha costruito i suoi trionfi passo dopo passo: ma mentre il presidente Moratti e gli sceicchi gli potevano mettere a disposizione quasi tutto quello che chiedeva, in Nazionale ha dovuto arrangiarsi con il parco giocatori che il campionato gli metteva a disposizione. Un parco considerato di seconda o terza scelta da tutti: lui, invece, è andato a scoprire i giovani che i club nascondevano e li ha valorizzati, ha chiesto aiuto ai vecchi e li ha rigenerati, ha messo come condizione di lavoro il divertimento e non l’ossessione del risultato e poi ha cominciato a stupire. L’Italia di Mancini ha vinto in campo e fuori, a quota 35 ha scritto la storia e ora vola verso il Qatar con il vestito di Wembley e un armadio dove ci sono già i nomi di eventuali ricambi o rinforzi. L’accoppiata Europei-Mondiali, che riuscì alla Spagna tra il 2008 e il 2010 (poi capace di fare anche il triplete nel 2012), è il vero e grande obiettivo del ct azzurro, che proprio per questo ha resistito al richiamo di tornare ad allenare una squadra di club. Allungando il contratto con la Federazione, ha certificato che il Qatar è il prossimo bersaglio da centrare. Se ci riuscisse, Mancini poi dovrebbe combattere con le sue nuove ambizioni: dopo due titoli così, sarebbe meglio lasciare o andare avanti?
Chissà…