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L’ ipogeo della chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, un tesoro restituito alla città

La chiesa di Sant’Anna dei Lombardi , conosciuta anche come S. Maria di Monteoliveto è una delle più ricche di arte e di storia della città. Costruita nel 1411, rappresenta una rara testimonianza dello splendore del Rinascimento toscano a Napoli e presenta una navata unica lungo la quale si allineano 5 cappelle per lato. La configurazione attuale è frutto di un rifacimento seicentesco, teso a dare una veste barocca all’edificio. Tra le opere di maggior rilievo, qui conservate, si ricordano quelle degli artisti toscani Antonio Rossellino e Benedetto da Maiano, le ceramiche robbiane e il celebre compianto sul Cristo morto del modenese Guido Mazzoni. Gioiello del percorso museale è la sagrestia vecchia, affrescata da Giorgio Vasari, che riprende i colori e le forme della maniera michelangiolesca.

Dal mese di dicembre ha riaperto al pubblico, dopo secoli di chiusura, l’ipogeo, denominato Cripta degli Abati, un ambiente ellittico posto al di sotto del coro della chiesa, a cui si accede attraverso una bella scala a doppia rampa e dove colpisce il visitatore la presenza di teschi decorati da paramenti ecclesiastici . Un luogo misterioso da esplorare, che arricchisce la Napoli sotterranea, sacra e ancora sconosciuta. Piena di tesori custoditi dal ventre dell’imponente patrimonio ecclesiastico e delle Arciconfraternite della città.

A restituire alla città questo tesoro nascosto si è impegnato il Comitato di Gestione delle Arciconfraternite Commissariate, presieduto dal Sacerdote Salvatore Fratellanza, il quale dichiara: “Il nostro scopo è valorizzare gli oratori della città, con i relativi ipogei ove presenti, riaprendoli nel minor tempo possibile, in modo da arrivare a costituire una rete tra le diverse realtà”.

La visita all’ipogeo di Sant’Anna dei Lombardi a Monteoliveto, chiesa famosa per la splendida sagrestia affrescata da Giorgio Vasari, permette di ammirare il putridarium, la struttura in pietra un tempo utilizzata per il processo di scolatura dei liquidi corporali, da cui deriva il celebre detto in vernacolo“puozze sculà” . Sopra i sedili sono state ritrovate anche teche con i resti mortali di personaggi illustri. Sulle volte sono ancora visibili affascinanti affreschi raffiguranti una foresta sacra e la scena del calvario. Ma l’attenzione del visitatore è attirata subito dalla visione delle 30 nicchie dove venivano adagiati i cadaveri per lo più degli appartenenti all’ordine. Al contrario della maggioranza delle nicchie per scolatoio, in queste i corpi dei defunti non venivano messi seduti, ma in piedi e per mantenerli in posizione eretta venivano ficcati nella nuca degli speroni metallici, ancora visibili. Dopo alcuni mesi, a volte anni, il corpo risultava perfettamente rinsecchito e mummificato con i liquidi confluiti nel “cantaro”. A quel punto le ossa degli abati e dei nobili venivano conservate in apposite teche: ne rimangono 25, sistemate in bella vista, con i teschi a volte decorati da paramenti ecclesiastici. Le targhette con i nomi dei defunti sono illeggibili, ad eccezione di quella centrale, la più addobbata di tutte ove si legge “Zucca”. Ai lati di alcune nicchie sono visibili dei cunicoli utilizzati per collegare gli scolatoi alle cappelle interne di proprietà delle famiglie nobili, così da facilitare il trasporto delle ossa.

Le ossa degli altri cadaveri venivano calate in una seconda cavità sotto l’ipogeo, un tempo accessibile attraverso una scala di 15 metri. Chiamata “terra santa” è attualmente visibile attraverso una grata centrale, da cui si scorgono delle tibie e degli omeri ed una cassa semiaperta dalla quale spuntano i resti di un corpo.

L’ipogeo di Sant’Anna dei Lombardi racchiude infatti anche un mistero: sono diverse le fonti che suggeriscono la presenza delle spoglie del marchese Bernardo Tanucci(fig. 6), uomo di fiducia del re di Napoli Carlo di Borbone e di suo figlio Ferdinando IV, segretario di Stato della Giustizia e Ministro degli Affari esteri e della Casa Reale dal 1754 al 1776, all’interno della terra santa, seconda cavità accessibile attraverso un pozzo profondo circa 15 metri e non ancora visitabile, posto al di sotto del primo, che prende il nome dalla terra di Palestina sparsa anticamente.

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