La cura. L’altro giorno un vecchietto è uscito tra le vie del centro per fare la sua solita passeggiata, ma stavolta non è tornato a casa. Tragica fatalità, ora dicono tutti. E’ accaduto che a due passi da Porta Capuana, nei pressi dello storico palazzo che fu prima dimora dei viceré poi tribunale, A.B. 83 anni sia inciampato in una tavoletta che copriva una buca nel selciato: l’uomo è caduto, ha battuto la testa ed è morto.
Quest’altro avvenimento mi conferma nell’idea che la città ha bisogno urgente, per uscire dall’impasse, di celebrare gli Stati generali della Cortesia…
Obietterà qualche “pierino”: ma cosa ha in comune la morte di un vecchietto con l’assassinio di Genny? Ebbene io trovo che se una città lascia morire così, senza un minimo di scrupolo, un ragazzo di 17 anni e un vecchietto di 83 significa che ha smarrito ogni cura.
Già, ma cosa intendiamo per cura?
A cosa pensiamo quando un nostro caro si congeda da noi e noi gli sussurriamo: “abbi cura di te”?
Cos’è la cura, oltre ad essere il titolo di un libro di Herman Hesse e di un brano di Franco Battiato?
La mitologia romana ci viene in aiuto, grazie ad un autore di nome Igino. Cura era una divinità. Si narra che un giorno, passeggiando lungo la riva di un fiume, rimase colpita dall’estrema morbidezza dell’argilla sulla quale andava camminando. Si chinò su quella fanghiglia e le diede forma con le sue mani delicate.
Il lavoro evidentemente riuscì benissimo. Tant’è che Cura volle fare di più e chiese a Giove di infondere lo spirito in quelle forme. Il primo fra tutti gli dei non si lasciò pregare, giacché Cura era sempre stato al suo fianco come scrupolosa consigliera. Ma la lite nacque quando entrambi pretesero di dare un nome alle creature che scaturirono da quelle forme. A maggior ragione quando ai due si aggiunge un terzo litigante, la dea Gea.
La contesa fu risolta di comune accordo con quello che oggi si direbbe un arbitrato. Saturno sentenziò: a Giove, che aveva infuso lo spirito, sarebbe toccato il possesso dello spirito, Gea, che aveva concesso il corpo, avrebbe ricevuto il corpo e a Cura sarebbe andato il possesso delle creature durante la loro esistenza. Il nome? Lo impose Saturno stesso: uomo, disse, perché era nato dall’argilla, dall’humus.
Il mito fu ripreso da Martin Heidegger in “Essere e tempo”: dove l’essere dell’uomo è sempre un esser-ci. Vale a dire che ciascuno nella sua autoprogettazione è gettato nel mondo in una situazione di esistenza insieme agli altri. Per cui l’essere-con-l’altro è sempre Cura dell’altro. Ogni dasein è sempre un mit-sein.
Chissà quale città felice sarebbe questa, se solo la Cura venisse restaurata.
E’ proprio un’impresa così impossibile?
E se pure fosse, non è proprio questa l’utopia che stiamo scrivendo?