Approfondimenti

La filo fab alla Maker Faire 2014

La terza rivoluzione industriale: il passaggio dai bit agli atomi in maniera quasi simultanea. Non è fantascienza, ma ciò che sta accadendo e che ci troveremo, presto, nelle nostre case. Tutto ruota intorno alle stampanti 3D, alla possibilità di stampare in tridimensionale un oggetto progettato al computer. Si stanno iniziando a diffondere e, con loro, la nascita dei FabLab, Fabrication Laboratory, pensati dalla mente del famoso scienziato Neil Gershenfeld, insegnante presso la MIT (Massachusetts Institute of Technology) degli Stati Uniti. Nei FabLab, officine/laboratorio, si progetta, disegna, modella, programma, prototipa, fabbrica, ripara e si trasformano le proprie idee in materia grazie ai Makers. Proprio come l’architetto Luigi Bordo che dall’inizio di ottobre è stato impegnato nella Maker Faire, il più grande evento di innovazione al mondo, con la sua invenzione selezionata dalla Call for Makers, la ID 242 o anche la “Filo Fab – the italian 3D filament extruder”.

Chi è Luigi Bordo? «Un’Architetto laureatosi presso l’Università di Napoli “Federico II”. Ho intuito in tempi non sospetti che la nuova frontiera della produzione si sarebbe concretizzata nella produzione digitale e nella prototipazione rapida, per questo motivo ha direzionato i miei studi e le mie sperimentazioni in tale direzione. Le mie idee, gli interessi e le competenze mirano alla creazione di una “Digital Factory”, una fabbrica digitale dove attrezzature tradizionali collaborano con le moderne tecnologie creando un sistema sinergico ad alta efficienza e dalle possibilità quasi illimitate. Gli eventuali limiti di tale produzione digitale verranno così annullati dall’utilizzo dei macchinari tradizionali e viceversa».

Luigi ha ereditato dal padre un laboratorio costituito da macchinari come torni, fresatrici, taglioplasma, saldatrici, curvatrici, taglierine per legno. Li ha recuperati e rinnovati consentendo una produzione che va dalla piccola alla grande scala. «Parafrasando le parole di E.N. Rogers, immagino un luogo dove è possibile progettare e realizzare dal cucchiaino alla città».

Parole che anni fa sarebbero suonate come pura fantascienza oggi trovano fondamento nella stessa invenzione di Luigi. «La FiloFab si adatta alle attuali stampanti 3D, ingoia quasi tutto e, attraverso le due resistenze fornite di controller separati, permette di “cuocere” ogni tipo di materiale alle diverse temperature necessarie a produrre o sperimentare». Piccoli pezzi di plastica, dall’ABS alle bottiglie vuote, sono restituiti dalla macchina sotto forma di filamenti pronti per rifornire la stampante 3D. Non solo plastica ma anche altri tipi di materiali che serviranno poi per stampare l’oggetto che abbiamo creato o che abbiamo comprato e che ci è stato spedito sotto forma di file. La deindustrializzazione che ha spostato uomini ma soprattutto economie negli ultimi anni, vista già nel 2040, probabilmente strapperà sorrisi, alcuni amari per il troppo tempo perso.

Senza contare l’impatto sociale di una simile invenzione. In Campania, ad esempio ma non solo, sarebbe perfettamente integrabile con un ciclo rifiuti che stenta a decollare. Ciò che oggi gettiamo diverrebbe, attraverso la FiloFab, un filamento da inserire in una stampante che, con un file e pochi secondi, ci materializza ciò che abbiamo richiesto. L’intero sistema della raccolta andrebbe rivisto. L’intera filiera dei consumi andrebbe ripensata. Non più consumi per alimentare le produzioni, ma produzioni attente a integrare e riparare oggetti che oggi, al primo problema, includiamo nella categoria “rifiuti”.

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