Le foto del cadavere di Davide Bifulco apparse sui social e sulla stampa locale sono solo le ultime immagini di morte che in nome di un discutibile dovere di cronaca abbiamo visto apparire su FB e sui giornali. Nel caso dei giornali, la voglia di un click in più scavalca qualsiasi pietas, qualsiasi esitazione e dubbio morale. Abbiamo le foto, pubblichiamole.
Ma non sono solo i giornali a farlo, anche comuni cittadini hanno negli scorsi mesi condiviso le foto di Stefano Cucchi, di Aldovrandi, dei bambini morti in Siria, di quelli morti sulla striscia di Gaza. Perché questo infierire su chi da morto non può certo ribellarsi a questa pubblica esposizione a ogni sguardo indiscreto, che sia indagatore, commosso o disgustato?
Qualcuno dice: si mostrano le foto per scuotere l’opinione pubblica, per non far dimenticare. Ma ce n’è davvero bisogno? C’è davvero bisogno di profanare il tempio della vita che diventa il nostro corpo quando la vita l’ha abbandonato? Forse i bambini di Gaza o della Siria, o gli altri morti, saranno meno morti quando avremo pubblicato le loro foto? Forse la gente cambierà la propria opinione precedente vedendo con i propri occhi quei corpi straziati? Qualcuno partirà per le zone di guerra in missione di pace per aver visto le foto dei bambini morti? Qualcuno cambierà idea sulla morte di Davide Bifolco?
No, signori, non cambierà nulla. Chi pensava che Davide la morte se l’è un po` cercata, continuerà a pensarlo. Che il colpo fosse stato sparato ad altezza del cuore lo si sapeva già, era stato detto, scritto, discusso. Che tutti possano vedere il foro del proiettile non cambierà la sorte di quel ragazzo, non cambierà il corso delle indagini e della giustizia. Le foto andavano mostrate si, ma agli inquirenti, non allo sguardo collettivo. I processi si fanno nei tribunali e non sui social, e i giornali dovrebbero occuparsi di notizie, opinioni, pareri, non di foto di cadaveri.
Certo, ognuno ha libertà di esprimere il proprio pensiero, ma mostrare la foto di un cadavere, che sia esso un bambino morto in guerra o un ragazzo morto per un proiettile partito dalla pistola di un carabiniere, non è l’espressione di un pensiero, è l’esibizione dell’orrore. Quanto poi alla possibile sensibilizzazione mediante la visione di queste immagini non solo non avverrà, ma accadrà, temo presto, l’esatto contrario.
Ci abitueremo alla morte visiva, non ci farà più impressione, saremo assuefatti al terrore. Il muro dell’indifferenza si alzerà ancora più alto e presto non distingueremo più tra immagini di scena di un film horror e i morti veri. Quelli che non possono neanche protestare per il fatto che mostrandoli in maniera così disinvolta li stiamo uccidendo di nuovo.