Articolo estratto dal numero di Link di marzo 2014
Un lungo pomeriggio e una lunghissima notte dello scorso dicembre; dodici ore di intensi e interminabili negoziati, poi finalmente l’accordo in seno all’Ecofin: la Banca Centrale Europea assumerà i poteri di vigilanza – sin da subito, ma formalmente il prossimo novembre – sulle circa 130 banche dell’Eurozona. È l’alba dell’Unione Bancaria. Una svolta epocale. Perché d’un sol colpo l’Europa pare risvegliarsi dal letargo che l’aveva paralizzata in questi anni di profonda crisi concentrandosi immediatamente sulla fissazione (e sul raggiungimento) di tre obiettivi:
1) spezzare il legame fra le crisi finanziarie e quelle dei debiti pubblici dei singoli paesi;
2) erigere una rete di protezione per i risparmiatori;
3) omogeneizzare le condizioni del credito in un mercato bancario divenuto assai frammentato.
Facile? Nient’affatto. Per comprendere la complessità del processo dell’Unione Bancaria – che porterà alla creazione di nuove istituzioni – occorre fare un passo indietro e due in avanti. Il passo indietro ci riporta nel 2007, l’annus horribilis della finanza americana con la crisi dei mutui subprime, al quale seguono anni di profonda recessione economica e di crisi industriali di proporzioni inusitate (il fallimento della società d’investimento Lehman Brothers è l’emblema della catastrofe); sino al 2011, allorquando il corto circuito di liquidità sui mercati finanziari fa emergere drammaticamente la spirale perversa tra debiti sovrani e fragilità del sistema bancario europeo. Di più. Voglio ricordare che verso la fine del 2011 le banche europee erano al collasso; il mercato monetario dell’area euro aveva cessato di funzionare e le operazioni di raccolta sul mercato all’ingrosso (mediante emissione di obbligazioni bancarie, certificati di deposito, eccetera) erano praticamente ferme. La fiducia nella tenuta del sistema era prossima allo zero. Nessuno avrebbe scommesso un caffè sulla possibilità di recuperare poco meno di mille miliardi di euro per rifinanziare le passività a scadenza di lì a qualche mese; senza contare il massiccio deflusso dei capitali dai Paesi deboli a quelli più virtuosi. Si profilava un doppio spettro: una immane contrazione del credito (credit crunch) con conseguenze disastrose sull’economia reale ed una moneta unica di fatto non più considerata tale dagli investitori, giacché un euro depositato in Germania mania non poteva essere percepito alla stessa stregua di un euro depositato in Grecia o in Portogallo. A ben guardare ciò rifletteva la debolezza dell’assetto istituzionale dell’area euro in generale e del settore bancario in particolare.
Come è stato efficacemente chiarito dal Presidente dell’Autorità Bancaria Europea, Andrea Enria, “con l’introduzione dell’euro le banche sono state incoraggiate a considerare il mercato unico come il loro mercato domestico; i gruppi bancari transnazionali rappresentavano più di due terzi degli attivi del settore bancario europeo, ma continuavano a essere controllati dalle autorità nazionali e, in caso di crisi, dovevano contare sulla rete di protezione (safety net) del loro paese di origine.
Pertanto, dopo la prima ondata di salvataggi da parte dei governi nazionali, le banche hanno iniziato a essere valutate dagli operatori di mercato sulla base del merito creditizio dell’emittente sovrano che offriva loro una rete di sicurezza e della quantità e qualità delle loro esposizioni sovrane”. Questo pericoloso intreccio tra banche e Stati sovrani influenzava negativamente la capacità delle prime di accedere al mercato, mentre alimentava paurosamente i debiti pubblici dei secondi che avevano la responsabilità di sorreggerle.
Facciamo ora i due passi in avanti. Il primo riguarda la risposta alla crisi in atto messa in campo dal Consiglio Europeo a seguito dei suggerimenti del Board dell’EBA (European Banking Autority). Si trattava di ricapitalizzare le banche europee mediante il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (EFTS), di prevedere un meccanismo di garanzia di livello europeo sulle emissioni di passività bancarie, di intervenire direttamente con l’EFTS sui mercati dei titoli pubblici. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: il sistema bancario ha migliorato la posizione patrimoniale complessiva di circa 160 miliardi di euro, nonché ha ristabilito la fiducia sui mercati finanziari; pur non predisponendo strumenti di garanzia diretti, la Banca Centrale Europea è intervenuta con prestiti triennali al sistema bancario scongiurando la chiusura dei rubinetti del credito; infine, l’annuncio delle outright monetary transactions (OMTs) da parte della BCE ha centrato l’obiettivo di calmare e stabilizzare i mercati del debito sovrano.
Ancora un altro passo in avanti. Giusto per chiarire che il coacervo di politiche europee tese a superare la più grave crisi finanziaria della storia, dopo quella del 1929, non poteva non prevedere un meccanismo che spezzasse il circolo vizioso banche-debiti sovrani e che tendesse a ripristinare il corretto funzionamento istituzionale. Il meccanismo di vigilanza unico (single supervisory mechanism –SSM) è prodromico all’Unione Bancaria dalla quale siamo partiti: esso è affidato alla BCE attraverso una divisione separata dalla politica monetaria. Non solo. L’Europa sta decidendo sulle modalità di intervento o di abbandono delle principali banche europee in difficoltà affinché nessuno Stato europeo possa più rischiare di fallire per colpa di un crack bancario.
Qui la tradizionale ostilità della Germania nei confronti di tutto ciò che suoni come delega di funzioni alla zona euro diventa palese; tuttavia le cronache di questi giorni parlano di incontri tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente della BCE Mario Draghi improntati ad un cauto ottimismo.
Certo è che, in futuro, il conto salato di eventuali risanamenti bancari non lo pagheranno né gli Stati, né i contribuenti. E questa per i cittadini europei è una buona notizia.