Un provvedimento del 22 maggio 2015 ha stabilito la sospensione a tempo indeterminato dal primo giugno 2015 della Comunità pubblica-privata Il Ponte di Nisida, una struttura residenziale per minori a rischio, quella con il maggior numero di ingressi a livello italiano, dunque una realtà importante per il nostro territorio e non solo. Ecco perché la decisione non è stata accolta di buon grado, non solo dalla Cooperativa il Quadrifoglio (il privato che la gestisce) e dai suoi operatori, ma da chiunque abbia a cuore le sorti dei ragazzi avviati, purtroppo, troppo spesso ad attività criminose in giovane età. Per loro, comunità come quella de Il Ponte rappresentano un’alternativa valida, un modo di vivere la pena che contempla un percorso rieducativo e abilitante, oltre che la possibilità di vivere vicino le proprie famiglie. Gravità sulla gravità, in seguito alla sospensione sono state bandite gare d’appalto al massimo ribasso che certamente non si sposano con una indispensabile garanzia di qualità relativamente a strutture di questo tipo. A tal proposito ricordiamo la lettera denuncia di Luca Sorrentino, presidente della Lega Coop (Alleanza delle Cooperative Italiane, Settore sociale, Regione Campania).
Molte le critiche sollevate nei confronti di Giuseppe Centomani, dirigente del Dipartimento giustizia minorile del Ministero della Giustizia: innanzitutto, la domanda per eccellenza, ci si chiedeva come mai la struttura fosse stata chiusa; poi, si sollevava la questione dei 15 operatori rimasti così senza lavoro; e, ancora, come mai la dimissione sia avvenuta l’anno successivo alla ristrutturazione della palazzina, la qual cosa risulta incoerente se si considera che una delle motivazioni inerenti la sospensione risulta – a detta del dirigente – quella di non voler sprecare denaro pubblico.
A queste e altre domande si riferiscono le dichiarazioni in risposta di Pino Centomani secondo il quale, innanzi tutto, “In più di una occasione, vi è stata una temporanea interruzione del funzionamento con la speranza di una ripresa più soddisfacente delle attività. Anche nel corso del 2014-2015 si è tentato un rilancio, attraverso una supervisione interna, della operatività di tale servizio. I risultati, purtroppo, non sono stati, ancora una volta, incoraggianti”. Commento che non ha trovato d’accorso la cooperativa: “Quali e quando sono stati fatti i rilievi di cui parla perché a noi non ne è mai stata data notizia e visto che parla di rilievi fatti alla cooperativa in convenzione probabilmente una comunicazione a quest’ultima andava fatta?” e ancora “Ci dica le date e le circostanze in cui sono state fatte temporanee interruzioni del funzionamento perché a noi non ne risulta nemmeno una”. Quanto al rilancio nel periodo 2015-2015, la cooperativa ha dichiarato di non esserne proprio a conoscenza. Il tasto dolente è, però, certamente quello dei “risultati poco incoraggianti”, un commento duro che rimane però privo di giustificazione: ci si chiede, infatti, quali siano questi risultati “poco incoraggianti” e come siano stati misurati, in base a quali criteri.
Per ciò che concerne gli operatori, Centomani ha dichiarato, invece, che “la cessazione della attività degli operatori della Cooperativa, che offriva il servizio di assistenza e vigilanza, è avvenuta alla scadenza dell’ultimo contratto e non per la interruzione dello stesso. In ogni caso, si chiarisce che il datore di lavoro degli operatori che, comprensibilmente, sono preoccupati per la propria posizione lavorativa, non è il Dipartimento Giustizia Minorile, ma la Cooperativa con la quale essi hanno sottoscritto, negli ultimi tempi, regolari contratti di lavoro”, sgravandosi così del loro peso, lavandosene le mani. Chiaro è che, svolgendo la Cooperativa un ruolo preminente all’interno della suddetta comunità, la sospensione delle attività della Comunità lede, in verità, la vita lavorativa dell’operatore sociale.
Il punto saliente, però, della risposta di Centomani restava quello della dimensione economica: “La decisione di sospendere il suo funzionamento deriva dalla volontà di non sprecare denaro pubblico e giustificare il maggior costo solo con un intervento di maggiore qualità e specializzazione rispetto alle Comunità”. A quello si aggiungeva la questione della ristrutturazione interna alla Comunità che – garantiva Centomani – “sarebbe stata riaperta per l’autunno prossimo con tutti i crismi e le strutture proprie di una vera Comunità educativa”. Dunque non si trattava di una vera Comunità educativa? Ancora non ci è chiaro, però, in base a cosa si muovono queste gravi accuse.
“Si sottolinea, infine, – proseguiva Centomani – che tale sospensione non rappresenta affatto un costo ulteriore per l’Amministrazione, in quanto l’inserimento presso Strutture del privato sociale dei due ragazzi presenti al momento della chiusura, comporta una spesa di gran lunga inferiore a quella sostenuta per il mantenimento quotidiano della Comunità Pubblica”. “È evidente – ha replicato la Cooperativa – che tenere su una comunità solo per due ragazzi è antieconomico ma allora ci domandiamo dove sono stati inviati gli altri ragazzi? Forse in comunità private? Certo è che dalle statistiche del Ministero della Giustizia si evince una chiara preferenza per la collocazione dei ragazzi in strutture private anziché pubbliche (almeno per quanto riguarda il nostro territorio)”.
Insomma, quel che è certo è che servirebbero criteri validi, indicatori qualitativi, in base ai quali decidere le sorti di una comunità, soprattutto se da queste sorti dipendono quelle ancora più importanti dei minori a rischio e del loro futuro. La redazione di Linkabile è comunque aperta a nuove risposte, opinioni e testimonianze sull’argomento.