Da anni siamo impegnati a capire come rifondare le nostre moderne democrazie, senza smentirne le basi concettuali ma consapevoli dell’inadeguatezza del modello storico di adeguarsi a realtà e società più aperte, dinamiche, complesse, ravvicinate. Con uno Stato in stallo, assistiamo a una lunga fase di transizione, dove le risposte e le reazioni al malfunzionamento rischiano di essere o assenti o estemporanee.
Cogliendo un approccio minimale, la crisi potrebbe essere presa dalla coda delle forme organizzative, anziché dalla testa dei presupposti politici.
Il seminario del 27 marzo, delle ore 10:30, vorrebbe ragionare di questo tema, a partire dalla constatazione che occorra individuare non il modello organizzativo di Stato, ma un modello minimo, un sistema basilare condiviso di regole organizzative, di prassi, di funzionamento: alcune idealtipiche (quale proto_tipo; quale organizzazione per fare cosa), altre più pratiche (il ruolo del governo di prossimità; il perimetro dei servizi essenziali; la definizione dei bisogni).
L’incontro del 27 marzo vuole avere una duplice finalità.
In primo luogo, sottolineare la debolezza del modello organizzativo italiano: tra i modelli “efficienti” di Stato minimo, Stato di benessere e Stato massimo, ci sono quelli “inefficienti” di Stato assente, disfunzionale, regressivo. In secondo luogo, provare a capire come migliorare l’organizzazione dello Stato per poter ridisegnare il nostro vivere comune nella tradizione europea, che continua ad essere – così ci sembra – quella più convincente, tra l’est e l’ovest del mondo.