La storia di Davide Bifolco, una storia interrotta a meno di diciassette anni da una pallottola partita accidentalmente, secondo le dichiarazioni, dall’arma un carabiniere fa discutere e spacca l’opinione pubblica.
Rompe per qualche giorno il muro dell’indifferenza e nell’era del libero commento mediante social, oltre ai vari quotidiani anche i cittadini comuni sentono la necessità di dire la loro opinione.
Davide era incensurato, e viveva in una zona periferica di Napoli, una zona di degrado che versa in un grave stato di abbandono, una periferia insomma non molto diversa da altre periferie del mondo.
Davide per alcuni sarebbe “reo” di avere amicizie discutibili, di andarsene alle due di notte in giro con due amici con qualche precedente penale su un motorino senza assicurazione.
I ragazzi non si sono fermati all’Alt dei carabinieri ma una morte così non può essere giustificata dal comportamento senza dubbio sbagliato dei tre ragazzi.
Non può neanche essere una giustificazione per andarsene in giro senza assicurazione il fatto che a Napoli il costo di una polizza RCA ha dei prezzi proibitivi, motivazione addotta da qualcuno sui social.
All’illegalità imperante nelle periferie e alla cultura della violenza, le istituzioni non possono rispondere con altrettanta arroganza, non si può rispondere con un colpo di pistola, neanche partito per sbaglio. Non siamo nel far west, ma nel paese di Cesare Beccaria, e non dovrebbe dimenticarlo nessuno, compreso il ragazzo di 22 anni che ha sparato legittimato a portare l’arma dal proprio mestiere e dalla propria divisa. Il carabiniere è attualmente indagato per omicidio colposo, e solo le indagini riusciranno a stabilire le eventuali responsabilità.
Nel frattempo è partita la solita opera di sciacallaggio mediatico nei confronti della città di Napoli. Leggiamo, a firma di Pietro Senaldi su Libero Quotidiano :
«Prima che del carabiniere di pochi anni più vecchio che ha sparato uccidendolo, Davide Bifolco, il 17enne ammazzato a Napoli mentre fuggiva dalle forze dell’ordine, è vittima della sua città. Dove è normale andare in tre in motorino, come andava Davide alle 2.30 del mattino, è nelle cose girare senza casco e viaggiare sulla sella di un latitante e a fianco di un pregiudicato. Dove forzare un posto di blocco viene ritenuto prassi se non una prova di coraggio e virilità. Napoli è una città che vive al di fuori della legge, i cui abitanti, anche quelli che non sono criminali, tengono abitualmente comportamenti che in altre parti d’Italia non sono tollerati. Peggio, spesso non sono subiti con fastidio ma accettati con compiacenza come un tratto caratteristico della città, un qualcosa di pittoresco da fare con orgoglio. L’indagine chiarirà se il carabiniere è un assassino, di certo Davide è vittima anche della Napoli che lo piange e lo descrive come il bravo ragazzo che, probabilmente, non era.»
Insomma non si tratterebbe di un caso di abuso di potere da parte delle forze dell’ordine, ma di un episodio quasi inevitabile in una città dove ad essere normale è soprattutto l’illegalità.
Non importa se episodi simili sono accaduti anche in altre citta`, anche in altre nazioni. No, il problema non
è la discussa preparazione degli agenti che svolgono il loro prezioso servizio al servizio della comunità, il problema è Napoli, sono i napoletani, il problema siamo noi, orgogliosi di infrangere la legge!
La fiera del pregiudizio e del luogo comune è aperta, e al razzismo territoriale di alcuni si affianca il professionismo anti-camorra di altri (quando si parla di Napoli la camorra c’entra anche quando non c’entra), e tutto questo dibattere alza una polvere che acceca e rende più invisibili i problemi di un sud già martoriato di suo, che proprio non avrebbe bisogno di altro dolore.
Così si perde di vista il vero problema, perché su episodi come questo andrebbe fatta una chiarezza che non lasci spazio alle ombre, andrebbe allontanata la possibilità che i cittadini possano vedersi vittime dello Stato. Al fianco di chi mette in dubbio che Davide fosse “un bravo ragazzo” c’è infatti anche chi commenta che “chi dovrebbe difenderci ci uccide”, e alcuni hanno anche parlato di rivolta del quartiere.
Il filo che unisce le istituzioni alla gente comune è dunque più che mai debole e sottile, e non è un problema di Napoli, dell’Italia o di Ferguson, Missouri. Il problema della sicurezza sulle strade, e di fin dove si possa spingere un agente di pubblica sicurezza per difenderla, è un problema di tutte le metropoli, di tutte le zone di degrado, di tutti i posti dove i ragazzi come Davide, se sopravvivono, avranno comunque un futuro incerto.