Cultura

La storia di Raffaele Viviani in sei puntate

Raffaele Viviani ebbe un grande interesse per il cinema, sul cui tema scrisse qualche poesia, ed ambientò un suo atto unico del 1918, “Piazza Ferrovia”, proprio all’ingresso della storica Sala Iride aperta a Napoli nel 1901.

Pochi, ma non privi di significato furono i contatti di Viviani con il cinema.

Raffaele Viviani è stato definito dalla critica come un precursore del Neorealismo cinematografico, se non come autore-regista, senza dubbio quale interprete efficacissimo.

Il drammaturgo, assieme alla sorella Luisella, fu protagonista nel 1912 di “Un amore selvaggio”, unico film del periodo del muto in cui possiamo veder recitare Raffaele Viviani. Il film, di cui non è chiara la paternità, nel senso che non sappiamo tuttora il nome del regista (forse lo stesso Viviani), è una breve storia di 25 minuti ambientata in un clima rurale e girata prevalentemente in esterni. L’ambientazione dovrebbe essere la Sicilia, ma l’opera fu girata con molta probabilità nei dintorni di Roma. E’ una trama ricavata dal teatro popolare napoletano dell’epoca. La recitazione è sanguigna, ricca di espressività e di carattere. Anche se prodotto da una casa cinematografica romana, la pellicola si può inserire tranquillamente nel filone del miglior cinema napoletano di carattere “realista” (da cui deriva, secondo alcuni, il neorealismo del secondo dopoguerra). La trama, la recitazione, i personaggi e perfino alcuni particolari scenografici sono “teatrali”, come del resto era tipico di un certo filone cinematografico del tempo.

Purtroppo questo fu l’unico film sopravvissuto del periodo del muto di Viviani, dolendoci che non sopravvivessero gli altri due film che sappiamo interpretò per la Cines, sempre nel 1912: “La catena d’oro” e “Testa per testa” in cui si presenta nei panni di un sanculotto della Rivoluzione francese. I suoi film non erano confinati a Napoli o nel resto del sud ma giravano per il mondo. Una recensione su un giornale inglese parla di Viviani in questi termini: “a wonderfully strong and realistic performance, fierce and almost terrible in its intensity”.

Nel 1932 interpretò La tavola dei poveri, diretto da Alessandro Blasetti nel 1932, all’inizio del sonoro, il suo capolavoro nel cinema.

Nel 1938, accettò la proposta della Juventus Film di realizzare una versione cinematografica della sua commedia “L’ultimo scugnizzo”, quasi sette anni dopo l’indimenticabile prima assoluta al Teatro Piccinni di Bari.

Dei film interpretati da Viviani, bisogna ricordare che egli stesso fu autore di ogni colonna sonora.

Il settimo film che Viviani doveva interpretare non fu mai realizzato, purtroppo, rimase un progetto sulla carta; doveva essere la riduzione del suo lavoro teatrale Pescatori, con la regia di Luchino Visconti.

Viviani, ancora una volta, mostra la sua attenzione verso il cinema con la poesia “Film sonoro” (1928), in cui ironizza sull’avvento del cinema sonoro. Egli, attento osservatore, capì immediatamente quale fosse la vera consistenza del meccanismo dissacratorio industriale; infatti, i versi di questa poesia sono un’aspra satira nei confronti del film sonoro americano.

 

Stasera, o’ Supercinema

se fa ‘o film sonoro.

Dice ca ‘a gente parlano,

cantano, fanno ‘o coro.

N’hanno mannato ‘a musica

pecché dall’obiettivo,

‘o quadro ch’esce s’anema,

comme si fosse vivo.

Remmure d’automobile,

d’acque, passagge ‘e treno,

strumente, tuone, applause,

‘o film, ‘o svolge in pieno.

Man mano ca ‘o pruiettono

fa ‘o dramma e s’accumpagna.

Na meraviglia ‘e tecnica,

però nisciuno magna.

E gli orchestrali abboffano

che al posto delle orchestre

ce stanno ‘e piante esotiche:

bambù, palme e ginestre.

Così, tra breve, ‘a maschera

vene pure abulita,

pecché sarr”a pellicula

che doppo dirà: – Uscita.

Ogne tanto s’illumina

e piglia posto ‘a gente:

ma ‘a ‘st’ata forma ‘e cinema

nun c’esce proprio niente.

Denare ca s’accentrano

tutte ‘int’a poche mane,

e chille ca s”e sparteno

nun songo italiane.

Sorde pirciò ca emigrano

e nn”e vedimmo cchiù!

spediti dall’Italia

diretti a Ollivù.

E gli orchestrali restano,

pe’ chesta scossa avuta,

senza parla’: se guardano:

la vera scena muta!

“Ih, quanto è bello ‘o cinema!”

cummentano fra loro.

“Stu mazziatone” dicono

“overo ca è sonoro”.

Addio tariffe a orario:

quaranta lire ‘a cassa,

cinquanta lire ‘o flauto,

trenta ‘o sceta-vajassa.

Mo chesto ‘o sincronizzano

e io musico soccombo.

E chi ‘a scuprette ‘America?

Cristoforo Colombo.

 

Raffaele Viviani raggiunse un notevole successo nel teatro di Varietà.

Il suo trionfo, nel mondo del Caffé-concerto, iniziò con l’interpretazione straordinaria della macchietta “lo Scugnizzo”. Seguirono tantissimi altri numeri e macchiette inventate-create da lui, in cui imitava i personaggi tipici della sua città: i venditori ambulanti, gli scugnizzi, i guappi, i pescatori, i nottambuli, gli uomini della malavita, i malati, i pietosi (‘O pisciavinolo, ‘O cantante ‘e pianino, 1907; ‘O sapunariello, Nun faie pe’ me, 1908; Malavita, Aitano Pagliucchella, 1910).

Questi tipi non sono delle caricature, non si tratta di tipi comici ma realistici, sono la rappresentazione di un’umanità che, con le sue gioie, sofferenze, vizi, difetti, aspirazioni, delusioni, rappresenta un quadro, decisamente, realistico di Napoli.

I numeri di Viviani erano più di 120 e la grandezza di questo grande autore-attore è da ricercare proprio nella sua capacità di impersonare tipi diversissimi tra loro, nonché di intrecciare, di impastare diversi elementi: il comico e il tragico, l’umoristico ed il sentimentale, la prosa e il canto.

Nell’interpretare più ruoli anche abbastanza diversi tra loro, Viviani dimostrò le sue ineguagliabili doti di attore: la gestualità, la mimica, l’incedere sulla scena e l’uso davvero singolare della voce.

Soltanto alcuni di questi numeri sono stati pubblicati nell’appendice di testi che segue l’edizione dell’Autobiografia curata dal figlio Vittorio Viviani del 1977; gli altri sono ancora materiale inedito.

Raffaele Viviani ebbe un intenso rapporto di amicizia e di collaborazione artistica con Luigi Pirandello. L’autore-attore napoletano fu molto stimato dal drammaturgo siciliano di cui traspose in dialetto napoletano tre testi: La patente, Pensaci, Giacomino! e Bellavita.

Il primo capolavoro pirandelliano che Viviani portò in scena nel 1924 è La patente, il cui titolo in napoletano divenne ‘A patente. Lo jettatore Rosario Chiàrchiaro, Pasquale Schiattarella nella versione napoletana, ebbe in Raffaele Viviani un interprete eccellente.

Nel 1933 Viviani mise in scena Pensaci, Giacomino! ottenendo un grandissimo successo, come autore e come attore, salutato con entusiasmo dalla critica e dallo stesso Luigi Pirandello in una lettera.

A distanza di dieci anni, nel 1943, Viviani realizza ancora una trasposizione di un’opera di Pirandello: Bellavita, un lavoro giovanile dello scrittore siciliano, portato alla ribalta da Raffaele Viviani, con vivissimo successo, al Teatro delle Palme di Napoli.

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