Cultura

La strage dimenticata del treno 8017

Nel primo pomeriggio del 2 marzo 1944, il treno merci speciale 8017, creato per caricare legname da utilizzare nella ricostruzione dei ponti distrutti dalla guerra, partì da Napoli con destinazione Potenza.

Il convoglio, era composto di 47 vagoni di cui solo 12 carichi e 2 riservati ai passeggeri. I vagoni vuoti dovevano essere utilizzati al ritorno dal capoluogo lucano dove l’attendeva un carico di materiale bellico che era stato nascosto in arsenali segreti posti fra le montagne, al sicuro dagli attacchi aerei tedeschi.

Nella stazione di Salerno, la locomotiva elettrica molto potente fu sostituita da due locomotive a vapore in quanto il tratto dopo Battipaglia all’epoca non era elettrificato.

Il treno arrivò nella stazione di Battipaglia poco dopo le 6 del pomeriggio. Alle 19: 00 ripartì in direzione di Potenza.

Come tutte le locomotive delle ferrovie dello stato dell’epoca, entrambe le macchine avevano la cabina aperta e un equipaggio di due persone: un fuochista per spalare il carbone e un macchinista per la conduzione.

Sul treno salirono centinaia di viaggiatori clandestini ma anche passeggeri muniti di regolare biglietto, provenienti soprattutto dai grossi centri del napoletano, stremati dalla guerra, che nei paesi di montagna lucani speravano di poter acquistare derrate alimentari. Alla stazione di Eboli alcuni abusivi furono fatti scendere, ma più numerosi ne salirono alle stazioni successive, fino ad arrivare ad un numero di circa 600 passeggeri.

Il treno arrivò circa a mezzanotte alla stazione di Balvano-Ricigliano. 50 minuti dopo, il treno 8017 lasciava la stazione di Balvano per dirigersi verso la successiva di Bella-Muro Lucano, per un tratto in notevole pendenza e con numerose gallerie molto strette e poco aerate.

Nella galleria delle Armi, a causa dell’eccessiva umidità, le ruote cominciarono a slittare. Per la perdita dell’aderenza, il treno perse velocità fino a rimanere bloccato, senza riuscire ad uscire dalla galleria, con soli i due ultimi vagoni fuori.

Gli sforzi delle locomotive per riprendere la marcia svilupparono grandi quantità di monossido di carbonio e acido carbonico, facendo presto perdere i sensi al personale di macchina. In poco tempo anche la maggioranza dei passeggeri, che in quel momento stava dormendo, fu asfissiata dai gas tossici che, in assenza di vento, potevano uscire dalla strettissima galleria solo tramite il piccolo condotto di aerazione.

Si salvò un fuochista, il quale riuscì, camminando lungo i binari, ad avvisare alle ore 5:10 il capostazione di Balvano che nella galleria era presente un treno con numerosi cadaveri a bordo.

Ai soccorsi arrivati sul posto la situazione apparve subito molto grave, potettero solo soccorrere una novantina di superstiti nelle vetture più arretrate, tutti recanti forti sintomi di intossicazione da monossido di carbonio.

Il bilancio della tragedia è ancora oggi impossibile da accertare e oggetto di controversie: quello ufficiale parlava di 501 passeggeri, 8 militari e di 7 ferrovieri morti ma, alcune ipotesi arrivano a considerarne oltre 600. Molte vittime tra i passeggeri non furono riconosciute. Furono tutti allineati sulla banchina della stazione di Balvano e poi sepolti senza funerali nel cimitero del paesino, in quattro fosse comuni.

La responsabilità della tragedia fu imputata alla scarsa qualità del carbone fornito dal Comando Militare Alleato. Questo carbone conteneva molto zolfo e ceneri, che rendevano poco affidabile il tiraggio dei fumi ostruendo le tubature della caldaia e abbassando il rendimento reale delle macchine.

Inoltre, per una serie di cause contingenti, il treno era stato composto con due locomotive in testa, invece che con una in testa e una in coda come nelle composizioni tipiche. Anche solo aver posto le locomotive separate avrebbe potuto contribuire ad evitare la tragedia.

La commissione parlamentare non rilevò alcuna responsabilità per l’accaduto, che venne ritenuto una sciagura per cause di forza maggiore.

Furono sollevati dubbi sulla tempestività dei soccorsi e sull’operato dei capistazione di Balvano e Bella-Muro, che non accertarono subito la posizione del treno quando questo apparve in ritardo sulla tabella di marcia. Tuttavia nella confusione postbellica era normale che le comunicazioni fossero intermittenti e i treni portassero gran ritardo. Non era raro che ci volessero oltre due ore per percorrere i 7 km della tratta.

Infine la catastrofe fu attribuita principalmente a.

« una combinazione di cause materiali, quali densa nebbia, foschia atmosferica, mancanza completa di vento, che non ha mantenuto la naturale ventilazione della galleria, rotaie umide, ecc. cause che malauguratamente si sono presentate tutte insieme e in rapida successione. Il treno si è fermato poiché scivolava sulle rotaie e il personale delle macchine era stato sopraffatto dall’avvelenamento prodotto dal gas, prima che avesse potuto agire per condurre il treno fuori del tunnel. A causa della presenza dell’acido carbonico, straordinariamente velenoso, si è prodotta l’asfissia dei passeggeri. L’azione di questo gas è così rapida, che la tragedia è avvenuta prima che alcun soccorso dall’esterno potesse essere portato. »

Venne notato che le disposizioni per la costituzione del treno venivano direttamente dal Comando Alleato, e che in ogni caso il personale di stazione e viaggiante non avrebbe potuto fermare il treno e chiederne la modifica.

Molti dei parenti delle vittime intentarono causa alle Ferrovie dello Stato. Le ferrovie respinsero ogni responsabilità, sostenendo che su quel treno non avrebbero potuto trovarsi passeggeri di alcun tipo e che, a causa della complicata situazione dell’equilibrio dei poteri tra le amministrazioni italiane e il comando statunitense, non era immediato nemmeno risalire a chi avesse la responsabilità della gestione di quella particolare tratta.

Per spegnere sul nascere una vertenza che avrebbe potuto trascinarsi per anni, il Ministero del Tesoro sancì l’emissione di un risarcimento come se si trattasse di vittime di guerra (risarcimento che fu erogato dopo oltre 15 anni).

Perché l’8017 si fermò nella galleria? Domanda alla quale non si è mai riusciti a dare una risposta e che lascia tuttora insoluto il mistero sulle cause della più grave sciagura ferroviaria avvenuta in Italia.

Così ricordò quei drammatici momenti il medico condotto di Balvano: “Un silenzio irreale, la neve e tutti quei poveretti. Mostrai ai ferrovieri e ai contadini come si fa la respirazione bocca a bocca. Avevo solo cento fiale di adrenalina, non potevo permettermi di sbagliare. Saltavo da una vettura all’altra, cercavo un cenno di vita nei riflessi oculari, poi facevo l’iniezione al cuore. Nessun altro medico per tutta la mattinata. Poi arrivarono le autorità da Potenza con una dottoressa americana. Allontanarono tutti, anche me. Ne avevo salvati 51, mi restavano 49 fiale, avrei potuto salvarne altri. Protestai, Dio mio, fatemi salvare altre vite. Mi cacciarono. E questo è il tormento che mi accompagna da quel giorno”( Famiglia Cristiana del 4 marzo 1979).

Le autorità angloamericane, quando le necessità le imponevano, ordinavano al personale ferroviario italiano di “formare” un convoglio di un determinato numero di vagoni, a tambur battente. Non ammettevano difficoltà di carattere tecnico, non volevano sentir parlare di coincidenze, di linee a binario unico…

Gli americani, insabbiarono e gli italiani, anche. Il verbale della riunione del consiglio dei ministri del 7 marzo 1944 fu molto chiaro e affermò che quella gente non doveva essere sul treno. Lo aveva fatto di nascosto e a proprio rischio.

Ci si pone una domanda: se lo sviluppo delle Ferrovie fosse stato eguale da nord a sud, se da Battipaglia in giù le linee fossero state elettrificate, ci sarebbero stati questi morti?

 

 

Potrebbe piacerti...