La testimonianza di Margherita Durso, volontaria in Karamoja dell’associazione Africa Mission – Cooperazione e sviluppo, che da quarant’anni opera in Uganda, una delle nazioni più povere del centro – Africa.
“Dopo che si lascia l’asfalto dello stradone che collega Moroto a Nakapiripirit, città capoluogo del distretto omonimo confinante a sud, il sole continua a cuocerti da est e la polvere comincia ad entrare in macchina e a colorarti la pelle.
Eccoci a Nabilatuk, dove sono collocati i primi siti del progetto finanziato da UNDP (United Nations Development Programme), che si estendono via via verso sud, fino agli angoli del distretto di Amudat confinanti col Kenya.
Un progetto che prevede da un lato delle misure di conservazione ambientale e del suolo, dall’altro la formazione di gruppi di comunità che partecipano ad un corso incentrato sull’affrontare un periodo di crisi conseguente a disastri ambientali (siccità, alluvioni…).
I corsi sono strutturati in modo “da provocare” il gruppo ad individuare probabili futuri scenari derivanti da cambiamenti climatici e scegliere democraticamente un’attività volta a mitigarne gli effetti di crisi. I gruppi sono 30, distribuiti nei due distretti di Nakapiripirt ed Amudat, per un totale di circa 900 persone. Seguiti dai facilitatori, ovvero i loro insegnanti del corso, i gruppi intraprendono successivamente l’attività scelta, per alcuni ad esempio il “cereal banking” (comprare cereali a basso costo e conservarli nei granai fin quando saranno venduti a prezzo maggiore ma sostenibile per la comunità, ricavandone profitto), per altri un allevamento di capre. Comprensibilmente, la preoccupazione dominante deriva dal periodo di siccità che la Karamoja sta affrontando, e le comunità cercano attività che possano permettere loro di conservare cereali e animali, avedo paura di rimanerne senza nei mesi futuri, che senza pioggia saranno.
Anche le 15 misure di conservazione ambientale sono state scelte per rafforzare l’adattabilità ai cambiamenti climatici ed alle difficoltà derivanti, coinvolgendo gruppi di persone pagate settimanalmente per il lavoro svolto. Si tratta del miglioramento di 6 esistenti “water ponds”, ovvero pozze di raccolta di acqua piovana destinata all�allevamento, che garantiscono alcuni mesi di presenza di acqua una volta terminato il periodo delle piogge. Sono stati costruiti 4 “trapezoidal bunds”, delle aree coltivabili a forma di trapezio con il perimetro rialzato per trattenere acqua piovana, ed infine 5 scuole sono state scelte come siti in cui piantare alberi da frutto, per un totale di circa 2000 piantine che rimarranno agli alunni, i quali se ne prenderanno cura insieme agli insegnanti.
Ma ora di acqua non se ne parla, e la difficoltà più grande sarà riuscire a farle sopravvivere fino al ritorno della pioggia, che al momento è solo un ricordo. Così come per quelle piantate intorno ai trapezi ed ai water ponds, che oggi sono quasi tutti secchi. Ripenso ad una lezione del corso tenuto dal facilitatore alle comunità e mi vengono in mente i segnali che lasciano presagire siccità, come comparsa dell’arcobaleno ad est, luna nuova luminosa, sfumature nelle foglie degli alberi e la presenza di una particolare stella chiamata “Lomoroko”. Sembra si tratti di simboli legati a qualcosa di tribale, quasi mistico, ma considerando l’evidente e diffusa deforestazione che sta distruggendo in modo dirompente l’ambiente di questa terra, non è difficile immaginare l’evoluzione del clima già secco e le conseguenze derivanti per le comunità.
Per adesso, quello che proviamo a fare è diffondere l’importanza degli alberi, cercando di piantarne il più possibile qui dove il clima è avverso. Ora. E in più convincere una comunità, abituata a vivere alla giornata, a confidare nei benefici che ne otterrà negli anni futuri. Una bella prova, che a volte ti fa pensare se non sia tutto inutile, ma la passione per questa attività e l’attaccamento a questa terra ti trasmettono la forza per andare avanti con il lavoro e a prepararti per la prossima sfida. Come disse Martin Luther King, anche se sapessi che domani il mondo andrà in pezzi, vorrei comunque piantare il mio albero di mele.
Margherita
*fonte Africamission.org