Sui social una notizia “è” quando viene commentata. E’ successo, ad esempio, con la morte dello scrittore nigeriano Chinua Achebe: avvenuta nel 2013, ma postata nuovamente dopo due anni ha indotto a credere che fosse appena scomparso. I lettori non badano alla data della notizia, ma a quella del commento per cui, come è capitato a me, avendo postato a quaranta anni dalla morte la pagina del Corriere della Sera che riportava la notizia, c’è stato chi era convinto il fatto fosse avvenuto nel novembre del 2015.
Sul Web il tempo si azzera e assistiamo all’eterno ritorno di tutte le cose. Come su You Tube, dove video di decenni diversi convivono senza distinzioni, diventano “nuovi” ogni volta che si caricano. “Non è difficile – scrive Maurizio Ferraris – pensare a un giorno in cui il cancellierato di Hitler (1933), il rapimento di Moro (1978) e Tangentopoli (1992) saranno pressappoco sullo stesso piano, insieme alla caduta di Costantinopoli (1453) e alla deposizione di Romolo Augustolo (476), con un effetto di appiattimento della storia”. Passato e presente si ritrovano sullo stesso piano, sono tutti vicino al postatore, per cui fatti anche molto distanti tra loro nel tempo diventano contemporanei. E questo è il risultato della “scomparsa” della storia; è come se il passato restasse in rete, cioè smettesse di essere passato, e di fare storia. Il fatto è che, prosegue il filosofo: “Il web non è un apparato di comunicazione destinato a trasmettere l’ultima notizia, ma un gigantesco sistema di registrazione in cui il nuovo viene immediatamente stoccato accanto al vecchio e al vecchissimo, creando una straordinaria fantasmagoria in cui tutto – gli eventi di oggi come quelli di dieci giorni fa o di diecimila giorni fa – è presente”.
Il passato è talmente lungo da superare l’immaginazione e la curiosità, e il presente si impone come tutto quello che c’è, azzerando il futuro.
Fast tought (Pensiero veloce) e slow tight (pensiero lento)
Si intende non tanto la rapidità di elaborazione di una propria opinione quanto la precipitazione nel pubblicarla, come atto sostitutivo della riflessione. Nel fast thinker (il pensatore rapido) prevale ( d’accordo con Eros e Priapo, di Carlo Emilio Gadda) un atteggiamento “istero – pappagallo – ecolalico – vulvaceo – sadico”, che comporta quantomeno due conseguenze: 1) la prevalenza dell’emotività sulla logica, per cui nel postare un pensiero o un commento ubbidiamo al sentimento che proviamo in quel momento e lo esterniamo a caldo senza filtrarlo attraverso un atto riflessivo. Come scoperchiare una pentola di acqua ribollente senza aver provveduto prima ad abbassare la fiamma. 2) l’autoingiunzione a fare in fretta si riduce spesso ad una coazione a ripetere, con il risultato che il fast tought è sistematicamente un old tought, un pensiero “vecchio”, che ubbidisce ad un trito stereotipo, e magari oltretutto sbagliato.
Il pensiero lento è riferito ad un ragionamento fatto in modo consapevole, riflessivo, autonomo, che, espresso nella scrittura, sia pure sintetica di un post, dovrebbe essere ancor di più raffreddato, magari rileggendolo prima di premere il tasto “invio”. Ma questo non avviene quasi mai, come stanno a dimostrare tortuosità del discorso, condite, oltre che da opinioni umorali provenienti dal ventre più che dal cervello, da strafalcioni lessicali e grammaticali.
Felicità
Staccando la spina dai social network, la felicità aumenta, la rabbia e il senso di solitudine diminuiscono. E’ il risultato di una indagine scientifica dell’Happines Research Institute di Copenaghen, che ha reclutato un campione di oltre mille persone, chiedendo a metà di loro di stare lontano da Facebook per una settimana. Quindi ha chiesto ai due gruppi di misurare la loro soddisfazione su una scala da 1 a 10. Il gruppo che ha continuato ad usare Fb ha dato mediamente una risposta di 7,67 prima del test e 7,75 dopo: praticamente invariata. L’altro è passato da 7,56 a 8,12: una differenza statistica di rilievo, e inoltre ha riportato un aumento dell’attività sociale nel mondo reale e minori sensazioni di rabbia o solitudine. Se prima del test l’81% di questo gruppo si sentiva felice, dopo il test la percentuale è salita all’88%.
Il direttore dell’Istituto Meik Wilking commenta: “Il nostro allarme non equivale ad un Fermate il mondo , voglio scendere, non è un invito a tornare ad una vita pre-digitale. Ma speriamo che il Faceook experiment aiuti a sottolineare l’impatto negativo di una realtà distorta”.
E una seria riflessione sul tema ci viene anche da Federico Tonioni, che dirige al Policlinico Gemelli di Roma quello che è stato il primo ambulatorio pubblico ad occuparsi della dipendenze da Internet: “Non esiste una dipendenza patologica da social, soprattutto tra i giovani. E sentirsi meglio staccando dai social è come prendersi una vacanza, terminata la quale, si torna alla routine. Ma i nativi digitali, quando abusano dei social, faticano a guardarti negli occhi, hanno un’incapacità di avere contatti dal vivo. Altro elemento: senza contatto fisico certe emozioni non si trasmettono, per esempio non si arrossisce davanti a uno schermo, segno che la comunicazione web non è intera”.