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L’Altra Napoli, l’associazionismo a favore della città

Napoli non sta vivendo un momento facile. E’ da tempo che è tornata sotto i riflettori per gli innumerevoli episodi di criminalità verificatesi sul territorio, un territorio insanguinato da una violenza senza tregua. Ma a Napoli non ci sono solo i criminali, non ci sono solo sparatorie, omicidi e rapine. Napoli è anche altro. Ed è altro grazie al lavoro delle numerosissime associazioni che operano per riqualificare il territorio, trovare sbocchi occupazionali ai giovani. Numerosissime associazioni che vogliono cambiare le cose, che vogliono mostrare una parte diversa di Napoli, quella migliore. Un esempio è sicuramente la ONLUS “L’Altra Napoli”, presieduta da Ernesto Albanese, che sta per festeggiare il suo decimo anno d’attività.

L’intervista a Manuela Marani, Segretaria Generale de “L’Altra Napoli” http://www.altranapoli.it/

L’Altra Napoli è una ONLUS che opera da dieci anni, come descrive quest’associazione?

«L’Altra Napoli nasce nel 2005 su volontà del presidente Ernesto Albanese, che in seguito a un grave lutto che ha colpito la sua famiglia (suo padre morì in seguito a una rapina) ha deciso d’impegnarsi per dare un riscatto soprattutto ad alcuni quartieri più difficili della città e, grazie a un incontro fortuito con Padre Antonio Loffredo, nasce questo progetto di lungo respiro, che riguarda il Quartiere Sanità. Un percorso lungo dieci anni che ha portato alla riqualificazione di moltissimi luoghi. Un progetto che ha una doppia valenza, poiché non solo c’è la riqualificazione del patrimonio storico/artistico di cui la Sanità è ricchissima, ma anche una ricaduta occupazionale dei giovani, che rappresentano un’enorme percentuale di questo quartiere, quindi offrendo una grande possibilità di riscatto sociale».

Come mai la scelta del Quartiere Sanità?

«Sicuramente uno dei motivi è l’incontro con Padre Antonio Loffredo che è l’anima del quartiere. La scelta è ricaduta su questo territorio, poiché la Sanità ha la caratteristica di essere un luogo ricco di un immenso patrimonio artistico e storico, ma che comunque ha una grossa presenza di problematiche sociali».

Settimane fa nel Quartiere Sanità è stato assassinato un giovane diciassettenne, voi che operate su quel territorio, come avete commentato quest’episodio?

«Noi ci siamo sottratti a questo tipo di dialettica, non c’è piaciuto com’è stato affrontato quest’episodio. La nostra associazione lavora per dare un’immagine diversa del Rione Sanità. In questo quartiere c’è un forte associazionismo, una rete di giovani che lavora per il Quartiere, a partire dalla “Paranza” che gestisce le catacombe di San Gennaro, che da lavoro a più di 20 ragazzi, insieme a tante altre associazioni, come “La casa di cristallini”, che si occupa del doposcuola per i bambini, quella del “Grillo Parlante”. Noi associazioni diamo le risposte che il pubblico non da».

Quindi, non esiste alcun tipo di dialogo con le istituzioni?

«Noi abbiamo lavorato raccogliendo, in dieci anni, più di sei milioni di euro, in totale assenza di soldi pubblici. Aldilà dell’aspetto economico le istituzioni sono completamente assenti».

Possiamo affermare che negli ultimi tempi ci sia stata una presenza maggiore?

«L’attenzione si è già spenta, lei sente ancora parlare del Rione Sanità. Ben venga la presenza delle istituzioni, qualora abbiano risposte concrete».

In dieci anni avete riscontrato collaborazione da parte del privato e del singolo cittadino, che vuole aiutarvi?

«Noi siamo in vita grazie al 5×1000, ad aziende, fondazioni come “Fondazioni per il sud”, che è stata una delle sostenitrici più attive nei diversi progetti in questo quartiere, ma anche il singolo cittadino può sostenerci come può».

Con la vostra associazione siete riusciti a dare lavoro a molti ragazzi?

«I ragazzi che lavorano con noi, hanno trovato uno sbocco occupazionale,  possiamo dire siano diventati un’eccellenza, sono diventati professionisti di alto livello. La visita delle Catacombe, ad esempio, è possibile farla in quasi tutte le lingue».

Ci troviamo in un momento molto delicato per Napoli, si parla molto di ragazzi giovanissimi che si affiliano ai vari clan criminali della città, secondo lei quale potrebbe essere una soluzione per risolvere questo fenomeno?

«Sicuramente la scuola, investire sulla scuola, sull’educazione, sui diversi progetti, sui territori. Basti vedere le numerose iniziative che Padre Antonio porta avanti nel Rione Sanità, lui dice che la bellezza salverà il mondo».

Voi avete in mente di espandervi anche in altri Quartieri “difficili”?

«Noi abbiamo riqualificato il complesso di San Nicola da Tolentino, che adesso è gestito dalla Cooperativa San Nicola da Tolentino, con i ragazzi che gestiscono il B&B “Casa Tolentino”, questa è la nostra prima sperimentazione ai Quartieri Spagnoli. Adesso abbiamo iniziato un progetto con le donne del Rione Sanità, che hanno organizzato una cooperativa, che si occuperà di pasti d’asporto, finanziato dalla Vodafone. Ora stiamo completando quello che abbiamo iniziato».

C’è quindi ancora una speranza per Napoli?

«Se tutti si rimboccano le mani e decidono che è possibile fare qualcosa, sì. Noi ci proviamo».

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