Il ritiro dalla corsa di Marco Rubio, e le principali televisioni americane che ignorano il discorso di Bernie Sanders, preferendo inquadrare il palco vuoto che attende l’arrivo di Donald Trump. Potrebbero essere queste le due immagini che più di ogni parola sono in grado sintetizzare il secondo Super Martedì delle primarie americane, ancora una volta vinte senza discussioni da Hilary Clinton e dal miliardario di New York. Il golden boy latino del Great Old Party esce male soprattutto da questa che per lui è stata l’ultima giornata delle primarie. Deludente nel complesso la sua campagna, talvolta scivolata su battute di dubbio gusto ( le allusioni varie sui centimetri di Trump) e culminata con un 45, 7% a 27% subito in casa, che sa più di umiliazione che di semplice sconfitta. Il discorso con il quale il senatore della Florida saluta i suoi elettori e la corsa verso la presidenza, è forse una delle poche cose da ricordare in maniera positiva. E’ un discorso alto, nobile, che guarda all’America ed in particolare al Partito Repubblicano, con quell’invito a non andare dietro all’odio e alla paura, che ha il sapore amaro ma comunque forte dello smarcamento dai toni e dalle idee del ciclone Trump, e che probabilmente è un tentativo furbo e lecito ( insieme con ogni probabilità allo stesso ritiro da questa campagna) di prenotare un posto in prima fila per le presidenziali che verranno poi, tra altri quattro anni, quando in ogni caso il settantenne Trump non sarà più della partita. Marco Rubio resta al momento la risorsa più fresca e luminosa del proprio partito, ormai orfano della dinastia Bush. Rubio lo sa, e resta in campo per la ricostruzione.
L’altra immagine è quella del socialista indipendente Sanders, ragionevolmente fuori ormai dalla competizione, ma che potrebbe avere per la Clinton un ruolo chiave. L’ex Segretario di Stato è riuscita ad intestarsi da subito la battaglia per le istanze delle minoranze, ma ha sofferto non poco le idee ed il linguaggio inclusivo del senatore del Vermont in alcuni Stati industriali, dove la crisi ha fatto più male. La vittoria di ieri nel’Ohio della Clinton è frutto probabilmente del deciso spostamento della sua attenzione verso certe tematiche sociali ,fin ad ora appannaggio di Sanders, e da queste la Clinton dovrebbe ripartire. Se la sua vittoria alle primarie non è in discussione, non può sfuggire alla futura candidata alla presidenza il fatto che il suo più che probabile rivale Trump, ha sfondato in maniera massiccia tra le tute blu. Le vittorie del costruttore newyorkese nell’Illinois e nel Missouri ne sono un’ulteriore testimonianza, e la pur importante sconfitta nell’Ohio non può modificare questa realtà. Nell’Ohio infatti Trump esce sconfitto nella battaglia contro John Kasich, che dell’Ohio è il Governatore, e con il quale ha un rapporto a dir poco empatico.
Nel complesso, il secondo Super Martedì rafforza la nomination di Trump e blinda quella della Clinton. L’ex first Lady passa a 1412 delegati, contro i 655 di Sanders. Nel campo repubblicano Trump sale a quota 612, Ted Cruz a 395, mentre Kasich da ieri è a quota 136. Milleduecentotrentasette è il numero magico per ottenere la nomination alla Convention di luglio e Trump non può dire di averlo già raggiunto. Tuttavia, per il Partito Repubblicano il rischio di andare contro un voto popolare tanto inaspettato quanto inequivocabile potrebbe essere fatale.
Ad ogni modo, e per motivi differenti, sia Hilary Clinton che Donald Trump non sembrano rappresentare i candidati ideali per moltissimi americani. L’ex senatrice continua a dare l’impressione della prima della classe, grintosa come pochi eppure distaccata molto spesso. Su di lei inoltre pesa il giudizio forse addirittura troppo drastico che si dà della politica estera dell’amministrazione Obama ( da moltissimi, a torto a ragione, considerato per molti aspetti una delusione) e sulla quale sono evidenti le impronte della Clinton.
Donald Trump inquieta. L’idea stessa che possa diventare, tra le altre cose, comandante in capo dell’esercito americano, non lascia dormire sonni tranquilli. E’ vero inoltre che ha mobilitato masse di elettori che prima non partecipavano al processo democratico statunitense ( e anche su questo i due grandi partiti dovrebbero porsi delle domande). Tuttavia i suoi giudizi e le sue idee su vari temi ( basti ricordare l’idea delle deportazione di milioni di immigrati) se da un lato possono essere bollati come esagerazioni elettorali, dall’altro lasciano spazio a giudizi sintetizzabili con l’articolo sulla Volgarità Globale del filosofo francese Bernard-Henri Lévy.
Non a caso, di fronte a questo quadro, da più parti si è evocato e si evoca lo spettro di un possibile ingresso in campo di Michael Bloomberg come possibile terzo incomodo. E mentre l’ex Sindaco di New York osserva e valuta, cresce la sensazione che alla fine gli Americani sceglieranno quella che a molti di loro appare come la via del meno peggio.