Di Ernesto Nocera
Dice il Vangelo: «Oportet ut scandala eveniant». Bisogna che gli scandali avvengano. E sono avvenuti. Non mi riferisco qui agli scandali da corruzione ormai così quotidiani che ne siamo mitridatizzati, ma i risultati organizzativi e politici del PD, in Campania in particolare. Dopo i risultati delle Regionali e delle amministrative non c’è stata una riunione degli organismi di partito per esaminarne i luoghi critici. A Napoli città la coalizione di destra ci supera di 5 o 6 punti. Sulla base di questo dato con quale prospettiva, quali politiche, quali obiettivi. Vogliamo recuperare il consenso perduto per affrontare le comunali? Soprattutto: perché abbiamo perduto consenso? Perché i ceti popolari ci hanno abbandonato per la coalizione di destra (Vedi i risultati del centro storico e delle periferie degradate)? Gli studi sui flussi elettorali confermano la tendenza e noi perdiamo tempo appresso a Carpentieri ed alla Tartaglione? C’è qualcuno che negli organismi sollevi il problema?
Trovo veramente deludente che, dopo i risultati, i consiglieri eletti- tutti abbiano riunito il proprio elettorato per festeggiare, ognuno rinchiuso nel suo fortilizio, senza alcun riferimento al partito. Questo elemento degenerativo, foriero di possibili trasformismi, fu già la causa del crollo del regime politico pre-fascista: i grandi partiti di massa dell’immediato dopo guerra ebbero la grande funzione di creare un consenso politico intorno a programmi ed ideali e, superando la gestione politicista del voto a sostegno di un determinato personaggio pronto a cambiare collocazione sulla base del calcolo del proprio personale interesse. Un errore già fatto, che generò il fascismo e che non abbiamo necessità di ripetere. Il PD nacque con l’intento di modernizzare l’Italia riunendo le culture progressiste. Esso non nacque come esperimento da laboratorio ma nel vivo di una realtà politica che si riconosceva nel sostegno politico di ceti sociali ben individuati: gli intellettuali, i lavoratori dipendenti, il ceto medio produttivo, la scuola con un occhio di riguardo agli anziani ed ai giovani. A quelli usciti dal mondo del lavoro ed a quelli che non ci sono ancora entrati. Questa base elttorale, nel gergo politico anglo-sassone viene detta “constituency”. E noi che facciamo? Nella furia iconoclasta di distruggere il passato attacchiamo i lavoratori sul paino dei diritti, presentiamo i pensionati come ignobili parassiti privilegiati e ci scontriamo con tutto il mondo scolastico e proprio a ridosso delle elezioni. Aggraviamo la posizione sdegnando, invece, di preoccuparci per il vistoso fenomeno dell’astensione. Insomma attacchiamo la nostra “constituency”? Per sostituirla con cosa? Invece di sollecitare il confronto c’è una buona fascia di “renziani” arrabbiati che vive con fastidio il confronto con l’attuale minoranza e che, gode quando qualche dirigente di rilievo, sbagliando, abbandona la partita? Renzi si dovrebbe preoccupare dei suoi reali nemici: quelli che dicono a persone come me: ragazzino vai via e lasciaci lavorare. Di destra ce n’è già troppa in questo Paese. Non aggiungiamone altra.
Gli italiani hanno percepito come negative le iniziative del governo. Sono giuste, come sostengono i tifosi renziani? Allora è ancora più grave perché la politica che non è capita da chi dovrebbe beneficiarne o non è buona o chi la deve presentare non è all’altezza del compito. Ipotesi entrambe gravissime. Quanto è accaduto è la sconfitta della pretesa modernità del partito politico liquido, di eletti ed elettori, è il fallimento della disintermediazione, strumento politico proprio degli assolutismi e presentato come tratto di iper-modernità. In una società complessa sono i corpi intermedi: partiti, sindacati, associazionismo, a garantire la tenuta sociale del paese. Dobbiamo risalire la china. Non abbiamo bisogno della testa di nessuno (anche perché data la qualità di qualcuna di esse c’è poco da trarne vantaggio). E’nostro preciso dovere, come partito moderno, acquistare il consenso intorno alla coscienza della serietà della crisi, sconfiggere il populismo di una visione pauperisitica della realtà che vuole risolvere la crisi con i sussidi, che vanno riservati solo alle zone reali di disagio. L’economia del mondo è in movimento, l’Africa si sta svegliando dal suo letargo. Abbiamo di fronte mercati immensi nei quali la nostra capacità tecnica può avere un grande ruolo e pensiamo veramente di risolvere i problemi dell’occupazione non con una politica industriale che punti ad occupare questi spazi, utilizzandoil vantaggio della nostra condizione geo-economica, ma con la lotta all’articolo 18?
E’nostro compito perché la miseria delle analisi della cosiddetta sinistra contestatrice e l’assoluta assenza di valutazione di una destra che vuole garantirsi, dietro lo scudo di un populismo inefficace, ce lo impongono. Quando il M5S dichiara, per bocca dei suoi maggiori esponenti, che il suo programma è: reddito di cittadinanza e chiusura di Equitalia, si deve avere coscienza del baratro che si aprirebbe davanti al nostro paese. Quando fu approvato l’Italicum, i talebani renziani pubblicarono in rete i nomi e le effigi dei “reprobi” che votarono contro. Visto l’andamento elettorale, meglio farebbero a mettere in rete volti e nomi dei consenzienti che, se non si cambia politica, dovranno rendere conto al Paese del crimine orrendo, di averlo consegnato ai populismi senza prospettiva.